Recovery plan, occupazione e resilienza del tessuto produttivo venetoIl 32,5% delle imprese individua nelle innovazioni l’ambito strategico
di Daniele Marini
Le imprese cercano di reagire pur nell’incertezza determinata dalla diffusione della pandemia, oltre che dal contesto politico nazionale. Aziende e famiglie sono sospese in una sorta di limbo che – per il momento – si protrarrà fino alla fine di marzo, quando i provvedimenti assunti dal governo in merito al lavoro e all’economia cesseranno.
Sempre che per allora il virus consenta di poter tornare a una (nuova) normalità. Cosa accadrà da aprile in poi è un interrogativo al quale è impossibile dare una risposta definita. Diverse analisi indicano che la ripresa non avrà percorsi univoci. Anzi, assai probabilmente avrà velocità diverse. Il manifatturiero sta riorganizzando le proprie filiere e, in alcuni casi, riconvertendo le produzioni.
Trasporti e logistica rivisitano assetti e organizzazione. Commercio, ricettività e ristorazione stanno subendo le ferite più pesanti ed è loro richiesta una riprogettazione complessiva. L’apertura ai mercati internazionali, finché la situazione epidemica non tornerà sotto controllo, difficilmente costituirà un traino come in passato. Alcune ricerche recenti possono aiutare a schiarire l’orizzonte e comprendere quali siano le strategie che le imprese hanno già avviato. Un primo punto riguarda l’occupazione.
Come rileva l’Istat, nell’ultima rilevazione sulle strategie delle imprese di fronte al Covid, quasi nessuna azienda del Nord Est ha ridotto il personale a tempo indeterminato (1,9%), assai poche hanno diminuito quelli a tempo determinato o i collaboratori esterni (6,5%). Per converso, alcune hanno rinviato le assunzioni previste (12,5%) e uno sparuto gruppo (4,5%) è riuscito, invece, a fare nuovi reclutamenti.
L’esito complessivo è un mercato del lavoro sostanzialmente bloccato, sia in entrata che in uscita. Guardando al futuro, l’8,3% prevede una forte riduzione del personale, soprattutto in alcuni settori dei servizi come ristorazione e alloggi (21,3%), e un terzo degli imprenditori (31,8%) intravede seri rischi di sostenibilità dell’attività. Quanto questa “bolla” sia frutto delle misure governative o della volontà delle imprese di preservare il proprio capitale professionale, si scoprirà solo quando le misure di sostegno (passivo) cesseranno il loro effetto.
Però, si può azzardare che se mediamente non conosceremo un disastro come taluni palesano, nello stesso tempo per alcuni settori gli effetti saranno marcatamente pesanti. Un secondo aspetto attiene alle strategie attuate: le imprese con le performance migliori sono accomunate da “3R”: relazioni, reti, resilienza. Il caso delle Pmi e degli artigiani piemontesi lo testimonia (Community Research&Analysis – CNA Piemonte).
Mediamente, ogni Pmi ha relazioni con circa 66 altre aziende. Se guardiamo alle medie imprese industriali questa soglia sale a 244. Quanto maggiori sono le reti di relazioni in cui sono inserite, migliori sono gli indici congiunturali e le performance economiche.
Ma oltre alle relazioni, hanno un peso importante la loro qualità. Il rapporto fra queste imprese è dettato da una capacità negoziale (49,8%), da relazioni di reciprocità (35,5%), molto meno da rapporti di subordinazione (14,7%). Siamo in presenza di rapporti fra fornitori, ben più che sub-fornitori o terzisti. Ciò è giustificato dal fatto che pesano competenze e professionalità (51,2%), più che logiche di prezzo (48,8%). Poi viene la resilienza, che non è resistenza passiva, ma rimanda all’innovazione come reazione a una situazione non positiva.
Diversi hanno messo in campo riorganizzazione dei processi produttivi (16,9%), produzione di nuovi beni e servizi (16,9%), utilizzo dei nuovi canali di vendita online (12,9%). Di più, il 10,1% ha intensificato le relazioni e la creazione di partnership con altre imprese.
Tant’è che la maggioranza delle piccole e medie imprese (56,7%) ritiene che per essere competitivi sul mercato sia necessario aggregarsi ad altre imprese, piuttosto che fondersi con altre aziende. Un terzo aspetto riguarda la definizione delle priorità oggi legate al Recovery Fund.
Sotto questo profilo (Reputation Science – Open Fiber), gli imprenditori hanno ben chiari i tasti da toccare: gli investimenti nelle infrastrutture (18,7%), nella formazione del capitale umano e nel sistema scolastico (15,2%), nella digitalizzazione (14, 2%), nella sostenibilità ambientale e la manutenzione del territorio (14,1%), senza dimenticare il sistema sanitario (12,2%).
Se sommiamo alla digitalizzazione anche il tema delle energie alternative e il sostenere le imprese nei progetti di trasformazione tecnologica, otteniamo che un terzo degli imprenditori (32,5%) individua nelle innovazioni l’ambito strategico su cui investire per la ripartenza.
Uscire dalla logica della dispersione delle rilevanti risorse disponibili, per addensarle su alcune linee progettuali prioritarie. Sostenere la propensione delle imprese a inserirsi in reti di relazione fondate su competenze e professionalità. Sono due asset per disegnare un nuovo sviluppo del Paese.
Nordest Economia – 25/01/2021
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