L’emergenza sanitaria ha cambiato il modo di vivere il territorio portando al capovolgimento di gerarchie in precedenza consolidate
di Laura Berlinghieri
È il baricentro che si sposta all’esterno, in periferia. Rendendo etimologicamente inesatto persino lo stesso termine “baricentro”. Perché il Covid – con smart working, e-commerce, chiusura dei locali, permanenza a casa – ha portato a un capovolgimento totale. Non solo delle nostre vite, ma delle nostre città, come eravamo abituati a conoscerle.
È più evidente nelle metropoli, ma il fenomeno coinvolge tutto il Nordest. Lo spiegano le istantanee su Prato della Valle a Padova, piazza Unità d’Italia a Trieste e piazza Duomo a Trento: fino a un anno fa, immagini di una vita che scorre rumorosa; ora inghiottite dal silenzio.
«Le nostre città hanno prima avuto un’espansione orizzontale e concentrica; poi verticale, con una polarizzazione verso il centro e la spinta ai margini di quanto considerato non essenziale. In realtà, le attività fondamentali alla vita quotidiana» osserva il progettista culturale veneziano Massimiliano Zane.
Criticità emergenti
«Ora la situazione si è capovolta – continua Zane – Con la necessità del fondamentale “vero”, che negli ultimi mesi ha causato una netta separazione tra grandi aree urbane e periferie, quasi invertite. Il Covid ci ha messo davanti le criticità dei nostri centri urbani, dallo spopolamento alla gentrificazione».
Le dimensioni del capovolgimento sono spiegate dal database di Google, che raccoglie i dati degli spostamenti in questo periodo sospeso, segnalando un cedimento in tutte le attività che, prima del “grande buio”, erano quotidianità.
Con la chiusura di bar, ristoranti, cinema e musei, il crollo dei movimenti per il tempo libero è stato del 60% in Trentino-Alto Adige. Lo smart working, gli spostamenti proibiti (o quasi) hanno portato al tracollo dei movimenti verso stazioni dei treni e fermate degli autobus, in Veneto scesi del 64%. E si sono svuotati i parchi e le piazze, con le passeggiate che sono diminuite del 52% in Trentino.
«In Veneto, il Covid ha esacerbato lo stimolo all’isolamento» prosegue Zane. È diversa la realtà in Friuli Venezia Giulia, come spiega il triestino Marco Marinuzzi, fondatore di Meraki, società che fornisce servizi a istituzioni culturali e turistiche, per progetti di cooperazione transnazionale.
«Trieste stava conoscendo un grande impulso turistico, con l’apertura di nuovi hotel. Il centro pullulava di bar, molti dei quali credo non riusciranno a riprendersi dalla crisi. Trieste sta soffrendo più di tanti altri centri, perché città di confine. Non gode, come Udine, Padova e Vicenza, di un circondario a 360°. Con la chiusura dei confini, i negozi hanno perso la clientela della Slovenia, dell’Istria croata, di Fiume. E l’impedimento è anche per i triestini, abituati a trascorrere la domenica in Croazia, valicando due confini, o a fare la spesa o benzina in Slovenia. Il centro si è svuotato. Vive di banche, di uffici pubblici: Comune, Regione, ex provincia, uffici ministeriali, Soprintendenza per i beni culturali, con lavoratori tutti a casa in smart working».
Meno spostamenti
A Nordest, la paura ha persino segnato la discesa degli spostamenti verso luoghi sempre rimasti aperti, alimentari e farmacie, con un calo del 3% in Friuli Venezia Giulia. Ed è la vittoria di e-commerce e delivery. Secondo un’indagine di Netcomm, nei primi 5 mesi del 2020, l’Italia ha contato 2 milioni di nuovi consumatori on-line. La crescita è stata verticale nel “pet care”, cresciuto del 154%, nella consegna di cibi freschi e confezionati (+130%), di prodotti per la cura della casa (+126%) e della persona (+93%). Con buona pace anche degli esercizi esclusi dalle strette decise a suon di Dpcm.
A uscirne rafforzate sono le società di consegna di cibo a domicilio, come la startup trevigiana Foodracers, che nel lockdown ha registrato una crescita del 40% su gennaio e febbraio 2020; un aumento proseguito con il venire meno del lockdown, soprattutto nella seconda ondata.
E si segna poi la crescita dei pasti recapitati in ufficio. Dato da mediare con il tracollo degli spostamenti verso i luoghi di lavoro. Con lo smart working, croce e delizia del 2020. Costrizione che ha portato a un salto in avanti pari a un cambiamento decennale. Stando sempre ai dati di Google, il crollo dei movimenti verso gli uffici a Nord Est è stato del 53%, con un ricorso eterogeneo al lavoro agile.
Una necessità che potrebbe persistere anche nel “post pandemia”, considerato l’abbattimento dei costi. Lo spiega un’indagine di Umana e Fondazione Nord Est. Delle 518 aziende intervistate, in Trentino il 42.9% ha detto di avere attivato lo smart working per poter riaprire, il 39.8% in Veneto e il 37.7% in Friuli Venezia Giulia. Ma l’immagine di quanto potrebbe accadere in futuro è la considerazione che ha il 48.2% delle imprese trentine, secondo le quali lo smart working permetterà di accedere a competenze pregiate assenti nelle vicinanze. il capovolgimento Nel capovolgimento, vince la periferia.
Lo dimostrano ancora i dati di Google, segnando un’impennata degli spostamenti verso le zone residenziali: +24% in Veneto, +23% in Friuli Venezia Giuliae +21% in Trentino Alto Adige. Lo smart working e la didattica a distanza hanno instillato negli italiani il dubbio sull’opportunità del modello fino a questo momento ritenuto “giusto”: l’appartamento, anche piccolo, ma in centro.
Ora è diverso, con stanze di casa utilizzate come uffici o aule scolastiche, e senza lo sfogo di un giardino. Secondo un’indagine di Idealista.it, a Padova, nel 2020, i prezzi delle case sono aumentati del 2.4% rispetto all’anno scorso.
In provincia la crescita è verticale: a Montagnana, superando persino il 25%. Il mercato è in leggera contrazione a Trieste (-0.8%) e Venezia (-0.6%), che pur resta la città più cara d’Italia. Indizi che ci mostrano un sistema già instradato verso un cambiamento inatteso ed epocale.
Nordest Economia – 21/01/2021
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