«Infrastrutture in ritardo la Tav è un’opera dovuta»

25 Maggio 2018

L’ex ministro Paolo Costa: «Speriamo che dal nuovo governo arrivi una scossa. La Pedemontana deve essere conclusa e i nostri porti non sono all’altezza»

di Alberto Vitucci

«Sulle infrastrutture l’Italia è in grave ritardo. Siamo abituati a pensarle solo in termini di disagi, o di proteste locali, mai in prospettiva. Magari il nuovo governo potrà rimescolare le carte. Potrebbe anche essere un’occasione». Grillino o leghista non lo è mai stato. Paolo Costa, ex ministro e presidente della commissione europea Trasporti, ex rettore e sindaco di Venezia, ha sempre preferito la politica «di centro». Il Pd e per certi temi – come appunto le infrastrutture – vicino a Forza Italia. Nominato presidente del Porto proprio dal governo Berlusconi, nel 2008. In questi giorni è a Lipsia, alla «Davos dei trasporti», in qualità di esperto italiano.

Presidente Costa, cosa ci dobbiamo aspettare da questo governo gialloverde?

«Le contraddizioni sono tante. Riguardano non solo i trasporti, ma anche le linee di comunicazione, i rifiuti. Per non parlare di immigrazione».

Sulle infrastrutture si bloccano le grandi opere?

«Mi auguro di no. La Tav, ad esempio è una cosa dovuta. E siamo in ritardo di vent’anni».

Ha ancora un senso?

«Certo. Quando Napoleone voleva fare i nuovi viali a Parigi i suoi architetti gli dicevano ci vorranno degli anni. Benissimo, rispondeva lui, allora cominciamo subito».

Come tradurlo?

«Che noi siamo abituati a pensare alle nuove infrastrutture sempre come un problema immediato. Come i disagi delle popolazioni e dei cantieri dovuti alla costruzione dell’opera. Non guardiamo un po’ più in là: a cosa potrà servire l’opera in termini di servizi. Risultato, siamo in gravissimo ritardo nell’adeguamento strutturale del nostro Paese».

Non è colpa del nuovo governo.

«Sicuramente no. Anzi, ripeto. Magari uno scossone è salutare. Un’occasione per tornare a discutere di certi temi».

Grave ritardo lei dice. Un esempio?

«Beh, i porti. Non ce n’è uno in Italia che possa ospitare le navi da 18 mila teu. E noi facciamo finta di non vedere».

Vuol dire che serve la piattaforma off-shore?

«Credo che non l’abbiano neanche considerata. Ed è un grave errore. I porti, ma ci sono anche le ferrovie. I nostri treni merci non raggiungono mai i 750 metri. Adesso quelli nuovi li facciamo così. Ma invece in Europa li progettano già da 1000 metri».

Nel nuovo governo vincerà la linea M5s per bloccare le grandi infrastrutture, Tav ma anche Pedemontana?

«Mi auguro di no. Ripeto, siamo già in grave ritardo. Non c’è una politica che guarda al futuro. E non solo sui trasporti. Oggi si apre in Ucraina un tunnel per il Corridoio 5. Noi invece da Venezia a Trieste puntiamo a raggiungere i 150 all’ora. Mezz’ora persa nel tragitto. È chiaro che i grillini si oppongono alle grandi opere, avendo costruito il loro consenso sulla rabbia delle popolazioni locali, mettendo insieme quelle battaglie. Ma la necessità di fare le grandi infrastrutture non si può scaricare addosso ai sindaci e agli enti locali. Deve decidere lo Stato».

Dunque questo governo può rappresentare un’occasione?

«Magari anche sì».

Corriere delle Alpi – 25/05/2018

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Fercargo: in Italia le merci viaggiano ancora su ruota. Aumentano fatica e smog

24 Maggio 2018

di Christian Benna

«Un treno merci da 2.000 tonnellate toglie dalla strada 80 camion. Meno inquinamento e meno polveri sottili. Tutti contenti quindi. Tranne che in Italia dove ancora facciamo fatica a imporre una visione strategica del trasporto su rotaia». Giancarlo Laguzzi, ingegnere, classe 1953, è un piemontese tenace. Dopo una carriera in Fs, direttore della divisione trasporto regionale di Trenitalia, è diventato amministratore delegato di Oceano Gate, società che prende in carico i container che arrivano nei porti liguri e li fa viaggiare a bordo dei convogli ferroviari.

Dal 2015 è alla guida di Fercargo, l’associazione che riunisce quegli operatori indipendenti che fanno concorrenza nel trasporto merci all’ex monopolista Fs, oggi Mercitalia. Una sfida complicata. Perché in Italia i beni di consumi, prodotti dell’automotive e della siderurgia che salgono a bordo dei treni sono appena il 7% del totale delle merci in circolazione. Tutto il resto è smog. «Nella costituzione svizzera l’ articolo 81, che richiama alla necessità di trasporto merci su rotaia per rispettare l’ambiente – spiega Laguzzi – e infatti il 75% degli scambi commerciali del paese elvetico si muovono sono su rotaia, in Europa siamo solo al 25% del totale. Noi invece ancora litighiamo sulle infrastrutture senza una vera logica di sistema». Laguzzi è nato a Novi Ligure, in una delle aree del Basso Piemonte votata agli scambi e alla logistica. Qualche anno fa Cargo Rail Italia, società austriaca, ha comprato un’azienda di Novi, la Linea, ma ha subito spostato la sede a Venezia, per gestire i traffici lungo l’asse del Nordest. «Ma il Piemonte non è un binario morto – dice Laguzzi – ci sono tante imprese che esportano. E che si affidano ai nostri operatori per far viaggiare i loro prodotti». Nel torinese operano diverse società che si occupano di trasporto merci su rotaia. Ci sono la Compagnia Ferroviaria Italiana che collabora con il gruppo Fca, Mercitalia, poi i francesi di Captrain, sede ad Orbassano. E la linea Afa, l’Autostrada ferroviari alpina, che collega Italia con la Francia e che a settembre riceverà le merci in arrivo anche da Calais. Il problema è che sulla linea storica del versante francese le merci viaggiano in salita, al rallentatore e con fatica, con una pendenza del «trenta per mille, dove ci vogliono tre locomotori per trasportare convogli». Risultato: il trasporto merci su quella tratta fatica ad essere competitivo sul fronte dei costi.

Corriere della Sera – 24/05/2018

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A Trieste è allo studio il ricorso al cold ironing per far fronte al possibile futuro aumento delle emissioni generate dalle navi in porto

23 Maggio 2018

Il Propeller Club ha fatto il punto sulla situazione, che al momento non desta motivi di preoccupazione

Per minimizzare il livello delle emissioni delle navi che giungono nello scalo il porto di Trieste si affiderà probabilmente al cold ironing, il sistema che consente alle navi di collegarsi alla rete elettrica terrestre per approvvigionarsi di energia elettrica e di spegnere i motori ausiliari per ridurre le emissioni in atmosfera, emissioni che tuttavia attualmente non destano motivi di preoccupazione a Trieste.
È ciò che è emerso ieri sera dalla conviviale organizzata dal Propeller Club di Trieste con la partecipazione di esperti del settore, nel corso della quale è stato specificato che gli enti preposti stanno già studiando il cold ironing come soluzione nel caso in cui gli aumenti di traffico dovessero portare ad un significativo aumento delle emissioni.
Il professor Giorgio Sulligoi, del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Trieste, ha confermato che esiste già un’ipotesi d’intervento, a fronte di un impatto che le navi in banchina possono avere sull’atmosfera circostante, citando anche il problema del rumore tra le criticità che si potrebbe essere chiamati a risolvere.
All’ingegner Massimo Carratù, direttore Energia Elettrica di AcegasApsAmga (società del Gruppo Hera che gestisce la fornitura sul territorio), è toccato invece attrarre l’attenzione sulla realizzazione di progetti definiti fattibili, ma non semplici da realizzare. Studiando un ipotetico case history per la fornitura di elettricità ad un terminal crociere nel Porto Vecchio di Trieste (dove esiste, in effetti, l’ipotesi che MSC possa dare vita ad un hub a servizio delle rotte in Adriatico), Carratù ha fatto un’ipotesi di costo (attorno ai due milioni di euro), accennando alle difficoltà di gestire grossi flussi di energia.
Circa il livello di inquinamento atmosferico provocato attualmente dalle navi che ormeggiano nel porto di Trieste, sia Carratù che Sulligoi hanno citato nelle loro relazioni uno studio dell’Arpa FVG (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente) che attribuisce alle navi una percentuale di circa il 20% dell’inquinamento complessivo dell’area urbana di Trieste. Pierluigi Barbieri, professore di Chimica Ambientale all’Università di Trieste e membro del Comitato scientifico di Arpa FVG, ha puntualizzato che nella zona di Trieste gli inquinanti relativi alle emissioni navali sono vicini al limite inferiore di misura per le stazioni di rilevamento (al di sotto del quale la presenza è troppo bassa per essere rilevata) e che, pertanto, al momento non sussistono motivi di preoccupazione. «Non è un dato misurato, è un dato stimato – ha spiegato Barbieri – quello riportato dall’Arpa. Una stima che ha portato a valutare tra il 20% e il 30% l’apporto di inquinamento riferito alle attività del porto». Barbieri ha tuttavia rilevato che, poiché si auspica un incremento dell’attività, è ragionevole definire alcuni scenari, con particolare attenzione a nuovi insediamenti residenziali in prossimità di attività industriali intense, ritenendo comunque il cold ironing come un’opzione importante.
A chiudere gli interventi l’ingegner Silvio Casini di Fincantieri Sistemi integrati e Alessandro de Pol, presidente dell’Associazione Agenti Marittimi del Friuli Venezia Giulia. Il primo ha fatto il punto sulle normative IMO per la riduzione delle emissioni navali e sulla necessità, per le navi da crociera, di impianti specifici per potere utilizzare energia elettrica di banchina. Alessandro de Pol ha invece citato alcuni flop dei progetti di cold ironing già disponibili ma non utilizzati, auspicando come soluzione – di una situazione che al momento non appare critica – un piano nazionale teso ad evitare singoli progetti e i rischi di «spreco di denaro».
«Con la soluzione del cold ironing – ha commentato in chiusura Fabrizio Zerbini, presidente del Propeller di Trieste – si tratta comunque di produrre altra energia. Attenzione, quindi, a non spostare solamente il problema. Va certamente tenuto conto della vivibilità e della salubrità dei cittadini, ma vanno favoriti anche i traffici portuali che creano importanti ricadute economiche ed occupazionali sul territorio e ritengo che il cold ironing sia da approfondire come ipotesi e da valutare congiuntamente ad ipotesi alternative di alimentazione per le navi».

InforMare – 23/05/2018

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Tav, i dubbi di M5S e Lega preoccupano le imprese venete

22 Maggio 2018

di Katy Mandurino

Le nebbie che si stanno addensando attorno alla Torino-Lione inquietano gli animi anche a Nordest. Si teme una presa di posizione che possa bloccare l’iter già avviato di opere che riguardano l’Alta velocità sulla tratta Milano Trieste, ma anche la Valdastico Nord o la Pedemontana; infrastrutture strategiche che stanno attendendo l’attuazione da anni. «La messa in discussione di importanti opere infrastrutturali può avere ricadute dirette non solo a livello di rispetto degli accordi presi (e di eventuali penali), ma soprattutto sulla crescita economica e competitiva del nostro Paese – dice Matteo Zoppas, presidente degli Industriali veneti -. Il mancato completamento in tempi certi e rapidi delle linee di Alta Velocità e Alta Capacità, andrebbe ad incidere in maniera consistente sulla consecutiva congiunzione da Milano fino a Venezia, rischiando di mettere le imprese al margine dei principali corridoi europei di scambio commerciale».

In Veneto l’Alta Velocità lungo il Corridoio 5 Lisbona-Kiev è progettualmente divisa per stralci. Il tratto che si trova allo stato più avanzato è quello tra Brescia e Verona: a marzo è stato pubblicata in Gazzetta Ufficiale la delibera 42 del Cipe con l’approvazione del progetto, atto che rende definitiva la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, da realizzare in 87 mesi per un costo di 2 miliardi e 499 milioni. I lavori dovrebbero partire entro l’anno; ora comincia la fase degli espropri di case, terreni e capannoni industriali. Sull’opera, che parte a 25 anni dal primo studio di fattibilità, gravano, però, 309 prescrizioni, modifiche che dovranno essere apportate al progetto in recepimento delle osservazioni di enti locali, Comuni, Regioni e ministero dell’Ambiente.

Più indietro è il piano Av/Ac che riguarda il tratto tra Verona e Padova, compreso il nodo di Vicenza. Lo scorso dicembre il Cipe ha approvato il progetto definitivo della tratta Verona-Bivio Vicenza, finanziato con il contratto di programma tra ministero delle Infrastrutture e Rfi per 2 miliardi e 713 milioni, che si sviluppa dalla stazione di Porta Vescovo a Verona fino al Comune di Altavilla Vicentina. Più arretrato il tratto cittadino di Vicenza: il progetto di attraversamento della città vale 800 milioni e porta con sè una nuova viabilità. Attualmente è fermo in Conferenza dei servizi, che dovrà esaminare tutti gli interessi pubblici coinvolti, Conferenza che è in attesa del nuovo governo. E c’è da attendere anche la Valutazione d’impatto ambientale, di competenza del ministero dell’Ambiente, con riferimento a beni culturali, vincoli paesaggistici e idrogeologici. Ma per il sindaco di Vicenza Achille Variati, che assieme alla Regione si è speso non poco per trovare unanimità tra tutti gli attori e fare sintesi tra i progetti, i cantieri potrebbero partire «tra il 2019 e il 2020» e dovrebbero durare sei anni.

Man mano che si va verso est la situazione si fa più complicata. Padova, nodo strategico della logistica e dei servizi dell’intera regione, sembra essere tagliata fuori, per il momento, dall’Alta Velocità. La tratta Verona Padova a tutt’oggi attende finanziamenti e progettualità concreti. Qualche anno fa, con uno sforzo tecnico accurato, comprensivo di un’analisi dei costi, la Confindustria cittadina elaborò un progetto per far arrivare la Tav in città, ma lo studio non ebbe poi seguito. Ma su Padova Luigi Di Maio, nella sua campagna elettorale veneta dello scorso dicembre è stato chiaro: «La Tav Verona-Padova è inutile. La soluzione alternativa è il potenziamento della linea esistente. Non vogliamo opere dai costi altissimi e che non servono ai cittadini», ha scritto su Facebook.

Verso il Friuli Venezia Giulia, è attiva la linea Alta velocità/capacità Padova-Venezia (25 km), mentre la Av/Ac Venezia-Trieste conta su un progetto preliminare datato 2010. L’iter è proseguito fino alla Valutazione di Impatto Ambientale la quale però non è mai stata completata; nel frattempo considerazioni politiche ed economiche hanno portato allo sviluppo di soluzioni alternative incentrate sul potenziamento della linea esistente.

«Difenderemo le nostre infrastrutture – ribadisce Luca Zaia, presidente della Regione – mantenendo l’alveo della legalità e del controllo spasmodico». Riferendosi anche alla Pedemontana e alla Valdastico Nord, opere sbloccate dai recenti governi e grazie al lavoro della Regione. «E – aggiunge – tenendo conto che abbiamo l’autonomia, su cui presenteremo il conto».

«La direttrice Milano-Venezia – ribadisce il presidente di Confindustria Veneto Zoppas -, fa parte di un “pacchetto” di infrastrutture che riguarda soprattutto il completamento della Pedemontana, la Valdastico Nord e il superamento di alcuni nodi nevralgici per il trasporto eccezionale. Si tratta di opere strategiche che non vanno fermate, perché farlo vorrebbe dire mettere a repentaglio la ripresa appena iniziata e questo graverebbe tanto sulle imprese quanto sui cittadini».

Il Sole 24 Ore/Impresa & Territori – 22/05/2018

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Ecco la Tav

Mentre a livello governativo si discute sul futuro dell’intervento arriva il progetto definitivo

di Matteo Trebeschi

È nel mezzo delle polemiche sull’Alta velocità che viene alla luce il progetto definitivo del tracciato BresciaVerona: quattro gallerie naturali e 17 artificiali, quattro viadotti e 15 cavalcavia. Un tracciato che corre in affiancamento all’autostrada Serenissima (A4) per più di 45 chilometri: ben definito nel percorso che va da Mazzano (Brescia Est) allo scalo Merci di Verona, ma ancora «sospeso» nel tratto di Brescia dove si attende – nei prossimi anni – un disegno a parte per il quadruplicamento in uscita dalla città. Nel progetto definitivo BresciaVerona scompare lo shunt parallelo alla Corda Molle, ma non la mega galleria da 7,5 chilometri che si inabissa sotto le colline di Lonato e “sbuca” nelle campagne di Desenzano. Sono alcune delle specifiche più importanti del tracciato da 2,8 miliardi che impegnerà ruspe e camion per i prossimi sette anni, dalla seconda metà del 2018 fino al 2025. Sempre che l’intera opera non venga messa in discussione o cancellata: ipotesi non peregrina, vista la presa di posizione del capo politico dei Cinque stelle. La Torino-Lione «è superata, prendiamoci quei soldi – ha detto Luigi Di Maio – e mettiamoli nel trasporto pubblico locale». Frase che ha scatenato sorprese in casa leghista, dove Matteo Salvini si è affrettato a dire che la cancellazione tout court della Tav non è nel programma di governo. In più, la Francia di Emmanuel Macron ha invitato il futuro governo italiano a rispettare gli “impegni” presi sulla Torino-Lione. Non va infatti dimenticato che il percorso che si snoda al confine tra Lombardia e Veneto è la continuazione del corridoio ferroviario che parte da Torino. Oggi, con l’Alta velocità già completata tra il capoluogo piemontese e la città di Brescia, le Ferrovie dello Stato sono decise a continuare l’opera il cui progetto risale al 2003. I Frecciarossa che oggi viaggiano da Milano sono costretti a ritornare sulla linea storica nell’ultimo tratto, a pochi chilometri da Brescia: a dicembre, come assicurato dall’ad di Fs Renato Mazzoncini, anche questo problema sarà superato. E lo stesso Mazzoncini sabato a Brescia ha spiegato che «Il primo cantiere aprirà quest’anno è tutto pronto».

Sempre nella seconda metà del 2018 dovrebbero iniziare i lavori alla galleria di Lonato. Sotto la direzione di Italferr (Fs), il general contractor “Cepav Due” inizierà a dare attuazione a quanto contenuto nella delibera 42/2017 del Cipe: il treno incontrerà prima il viadotto sul Chiese (lungo 377 metri), la galleria di Calcinato (460 m), a seguire ci sarà la galleria di Lonato da 7,5 chilometri, un altro tunnel che si trova a sud del laghetto del Frassino (2,6 Km); in territorio veronese, invece, i convogli Alta velocità passeranno sopra il viadotto del Mincio (320 m), la galleria Paradiso (1,4 Km) e, infine, il tunnel di San Giorgio (Sona). Opere necessarie per dare stabilità al treno e permettergli di accelerare e curvare in sicurezza. Per la maggior parte del tracciato l’Alta velocità corre su rilevati e trincee: è quello che succede nel territorio di Calcinato, Desenzano e Pozzolengo. Sul territorio di Mazzano, invece, verrà scavata una galleria artificiale (0,5 Km) all’altezza dello svincolo di Brescia-Est e saranno riqualificati alcuni sottopassi, vie e cavalcavia. Le mitigazioni ambientali? Sono previste dal 2022. Al confine con Calcinato sorgerà poi un cantiere da 54 mila metri quadrati, pronto a servire i camion che dovranno costruire “rilevati” e “trincee” lungo i 7,1 chilometri che porteranno l’Alta velocità ad allontanarsi dalla ferrovia storica e avvicinarsi all’A4. L’impatto dell’opera sarà rilevante sulla viabilità del paese e delle aree industriali: causa cantieri, infatti, saranno quattro i cavalcavia cui i tecnici di Cepav Due dovranno mettere mano. Si tratta di quello di via Stazione (Ponte san Marco), via Moncalvo, Sp11 e via Brescia. Senza contare l’elettrodotto in costruzione dal 2020 e la “rilocazione” del canile. Più complessa la situazione a Lonato, dove la prescrizione numero 205 prevede lo “spostamento” di una vasca e di un capannone della Feralpi. Il tunnel da 7,5 Km sarà l’opera principale, tra le primissime a partire. E se gli ambientalisti temevano per le ricadute dello scavo sul reticolo idrico delle colline, il comune guidato dal sindaco Roberto Tardani era più preoccupato della posa di un importante elettrodotto.

Nel territorio di Desenzano la Tav corre in sfregio all’autostrada: i 9 chilometri del percorso impongono la costruzione di un nuovo cavalcavia (via Grezze) e la modifica di altri tre. Trincee e rilevati ferroviari impegneranno le ruspe fino al 2022. E in tanti sperano che la polvere “insidiosa” dei cantieri non faccia fuggire turisti e acquirenti: il territorio è il vero valore aggiunto di queste aree di pregio.

Corriere della Sera/Brescia – 22/05/2018

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Verona, fermata per l’Europa. La città delle merci che non dorme mai

21 Maggio 2018

Dall’interporto si muovono più di 16 mila treni e 28 milioni di tonnellate l’anno

di Samuele Nottegar

Dal più grande scalo ferroviario di Verona si va a nord. Ogni giorno i treni si accostano ai 18 binari, pronti per la partenza, mentre quelli in lavorazione attendono negli altri 17 binari affiancati, in attesa che esca sui tabelloni la loro stazione di arrivo. Se ci fossero passeggeri potrebbero leggere sui display luminosi Monaco, Brema, Colonia e più su Amburgo, Rostock, Rotterdam, i porti del Baltico, e poi Oslo e la Scandinavia. Se c’è un porto, un interporto, un’area industriale nel nord Europa, la fermata obbligatorio è questa. Così ogni giorno dell’anno, a orari precisi, nella più estesa stazione veneta i treni arrivano, si fermano, vengono smontati, ripartono. In media 54 al giorno, 180 coppie di treni la settimana, più di 16.300 in un anno, in un ciclo continuo e che non conosce sosta, giorno e notte. Nessun viaggiatore, però, ha mai preso un treno in questa stazione, perché il grande scalo ferroviario è dedicato esclusivamente alle merci e si trova dentro l’Interporto Quadrante Europa.

Il Quadrante Europa

La «galassia» Quadrante Europa, oggi, è ben più di un semplice interporto: è un’area vasta, complessivamente 4 milioni di metri quadrati, e un concentrato di attività, di ricchezza prodotta e movimentata che non ha pari in Italia e, probabilmente, in buona parte d’Europa. Quasi 130 aziende hanno una propria sede dentro questo «quadrilatero d’oro» dell’economia e della logistica venete, quasi 13mila addetti ci lavorano, oltre 28 milioni di tonnellate di merci, nel 2017, sono state portate qui, lavorate e ripartite. Se c’è una Verona che non dorme mai, quella sta dentro il Quadrante Europa. «Verona con il proprio interporto – analizza Matteo Gasparato, presidente del Consorzio Zai, la società pubblica che sovrintende all’area interportuale – si trova geograficamente all’intersezione tra i corridoi Scandinavo–Mediterraneo, cioè l’asse del Brennero, e Mediterraneo, cioè est-ovest. Siamo uno snodo fondamentale per il traffico merci attraverso il valico del Brennero, il passaggio alpino attraverso cui passa la maggior parte delle importazioni/esportazioni italiane». Non è, però, solo grazie alla sua straordinaria collocazione che il Quadrante Europa è diventato l’infrastruttura interportuale più importante d’Italia. Certo, i limiti fisici dell’interporto sono rappresentati dagli incroci delle autostrade Serenissima e A22 e delle rispettive linee ferroviarie Torino–Trieste e Bologna–Brennero, cui le merci dell’interporto hanno accesso praticamente diretto, ma da quando il Quadrante Europa è nato ha saputo sfruttare questa posizione di eccellenza. Attraverso la controllata Quadrante Servizi, guidata dal presidente Elio Nicito, qui si lavorano e manovrano i treni nell’ultimo miglio, il che rappresenta un valore aggiunto. «Altrimenti – sottolinea Gasparato – non si capisce come l’associazione tedesca degli interporti DGG abbia potuto certificare il nostro interporto come primo a livello europeo nel 2010, confermando la sua scelta nel 2015. E la classifica prende in considerazione i volumi di traffico, ma anche altri 40 criteri relativi ai servizi forniti agli operatori. Questo è sicuramente merito di un lavoro congiunto tra Consorzio Zai e tutti gli operatori presenti a Verona».

Gli elementi di sviluppo

In attesa che esca la classifica 2020, al Quadrante Europa si guarda al futuro. Due sono gli elementi di sviluppo cui si sta lavorando: la realizzazione di un nuovo terminal con binari lunghi almeno 750 metri (ora sono di 500) e lo sviluppo di una nuova area, a sud del Quadrante, denominata Marangona, in cui collocare un nuovo raccordo ferroviario al servizio del settore automotive e creare nuovi spazi per insediamenti aziendali. Per quanto riguarda i nuovi binari da 750 metri, modulabili fino a mille, l’obiettivo è quello di terminarli prima dell’apertura del nuovo tunnel del Brennero, prevista per il 2027, in modo da poter accogliere direttamente i convogli merci provenienti e diretti nel centro e nord Europa.

L’incremento dell’efficienza

«Questo investimento, da un centinaio di milioni di euro – spiega Gasparato – e realizzato con Rfi, garantirà un incremento dell’efficienza complessiva del sistema ferroviario». Il secondo, invece, permetterà di mettere a disposizione nuovi spazi per le merci in arrivo e per l’automotive. Perché non va dimenticato che, se il Quadrante Europa guarda a nord e alla Germania in particolare, la Germania guarda a Verona. Nell’area del Quadrante ha sede Volkswagen Group Italia, il colosso dei motori tedeschi nel nostro Paese. Per capire: ogni giorno arrivano nell’area terminal della Volkswagen due treni di ricambi e 5 treni carichi di auto. Da sola, l’azienda italo–tedesca – che è una delle 130 presenti al Quadrante – sviluppa un giro d’affari annuo pari a 5 miliardi di euro. Qui lavorano 890 persone, quadri e manager dei vari marchi automobilistici: se un’auto del gruppo ha targa italiana, sicuramente è passata da qui. E non è l’unico colosso che ha qui una propria sede: c’è Schenker, gigante della terminalistica, assieme a decine di operatori della logistica, ha da poco aperto Aldi, il colosso dei discount, così come i gruppi della grande distribuzione organizzata.

L’intermodalità

Il Quadrante Europa, infatti, è intermodalità, passaggio delle merci da gomma a ferro e viceversa, automotive e servizi interconnessi, ma è anche Veronamercato, cioè uno dei più importanti centri agroalimentari d’Italia. Quando la città va a dormire, qui comincia l’attività, visto che tra l’una e le sette di mattina viene conclusa la stragrande maggioranza delle contrattazioni. Nei 550 mila metri quadrati trovano posto il mercato dell’ortofrutta, il mercato ittico, quello dei generi agroalimentari, dei fiori, del biologico e, ovviamente, due piattaforme logistiche, visto che il 50% dei prodotti che arrivano qui va poi all’estero. Nord Europa chiaramente. «Il giro d’affari complessivo delle imprese che lavorano dentro Veronamercato – spiega il presidente Paolo Sardelli – è di 450 milioni l’anno, il nostro mercato di riferimento è l’Europa». Quindi, una volta contrattate, le merci che qui sono arrivate di notte ripartono e il ciclo ricomincia. Mentre negli uffici del centro direzionale si attivano le agenzie di import/export, i broker e gli operatori della borsa merci: si fissano prezzi e valutazioni dei prodotti che stanno arrivando.

Corriere del Veneto – 21/05/2018

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Nei primi tre mesi del 2018 il traffico dei container movimentato nei porti italiani da Contship Italia è diminuito del -13,3%

Cali del -14,1% e del -60,4% nei porti di transhipment di Gioia Taro e di Cagliari e flessione del -4,2% a Ravenna. Crescita a La Spezia (+2,5%) e Salerno (+16,7%)

Nei primi tre mesi di quest’anno il traffico dei container movimentato dai terminal portuali gestiti dal gruppo tedesco Eurokai è diminuito del -4,0% rispetto al primo trimestre del 2017 a causa della flessione del -1,2% registrata dai terminal del gruppo nei porti tedeschi che sono operati dalla Eurogate, joint venture 50:50 tra Eurokai e la connazionale BLG Logistics, ma soprattutto a causa della riduzione del -13,3% del traffico movimentato nei porti italiani attraverso Contship Italia, società partecipata al 66,6% da Eurokai e al 33,4% da Eurogate.

Nel primo trimestre del 2018 il traffico nei terminal tedeschi del gruppo è stato pari a 1,90 milioni di teu rispetto a 1,92 milioni di teu nello stesso periodo dello scorso anno. Nel solo porto di Bremerhaven sono stati movimentati 1,35 milioni di teu (-0,9%), nel porto di Amburgo 384 mila teu (-19,1%) e nel porto di Wilhelmshaven 159 mila teu, con un deciso rialzo del +99,7% determinato dai volumi portati a Wilhelmshaven dalle navi dell’alleanza armatoriale OCEAN Alliance che approdano allo scalo dal maggio 2017.

Il traffico containerizzato movimentato nei porti italiani è stato pari a 1,08 milioni di teu rispetto a 1,24 milioni di teu nel primo trimestre del 2017. In deciso calo è risultata l’attività nei porti di Gioia Taaro e di Cagliari, i due scali del gruppo specializzati nel traffico di transhipment, dove i terminal Medcenter Container Terminal (MCT) e Cagliari International Container Terminal (CICT) hanno movimentato rispettivamente 571 mila teu (-14,1%) e 59mila teu (-60,4%). Più contenuta la flessione del traffico nel porto di Ravenna dove la filiale Terminal Container Ravenna (TCR) ha totalizzato 43 mila teu (-4,2%). In crescita, invece, i volumi movimentati nel porto di La Spezia dalla La Spezia Container Terminal (LSCT), che ha chiuso i primi tre mesi di quest’anno con 320 mila teu (+2,5%), e nel porto di Salerno, dove la Salerno Container Terminal (SCT) ha movimentato 84 mila teu (+16,7%).

Negli altri terminal del gruppo il traffico è ammontato complessivamente a 485 mila teu (+10,1%), di cui 336 mila teu movimentati nel porto marocchino di Tanger Med (+8,7%), 88 mila teu nel porto cipriota di Limassol (+39,3%), 39 mila teu nel porto portoghese di Lisbona (-18,0%) e 22 mila nel porto russo di Ust-Luga (+5,0%).

InforMare – 21/05/2018

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Porti: Federazione del Mare, serve il Ministero del Mare

20 Maggio 2018

L’economia marittima produce valore per 33 miliardi

E’ tempo di istituire in Italia il Ministero del Mare, o comunque una struttura all’interno del Ministero dei Trasporti che funga da coordinamento di tutto il cluster marittimo. Ne è convinta la Federazione del Mare, che raggruppa le organizzazioni di tutto il comparto marittimo e che a Livorno ha tenuto il simposio “Il ruolo del mare nell’economia nazionale”.

“Visto il peso dell’economia marittima nel nostro Paese – ha detto il segretario generale della Federazione, Carlo Lombardi continuato Lombardi – il nostro auspicio è che le istituzioni si dotino di un Ministero dedicato o un’unità specifica con poteri di coordinamento, un’Agenzia o Segretariato del Mare, eventualmente presso la Presidenza del Consiglio, in modo da dare maggiore efficacia all’attuazione legislativa e amministrativa delle decisioni in campo marittimo”.

Oggi il cluster marittimo industria spende annualmente quasi 20 miliardi di euro in acquisti di beni e servizi. Secondo l’ultimo Rapporto sull’economia del mare (il V) realizzato assieme alla Fondazione Censis, il valore dei beni o servizi prodotti dalle attività marittime, è di 33 miliardi di euro, pari al 2% del Pil e al 3,5 % della sua componente non statale, con una occupazione complessiva di 470mila addetti tra diretti e indiretti. Il trasporto marittimo serve il 90% del commercio mondiale, commercio che nell’ultimo decennio è cresciuto da 6 a 10 miliardi di tonnellate e salirà nel 2030 a 17 miliardi. Complessivamente, nei porti italiani le linee di navigazione internazionali hanno movimentato nel 2016 oltre 480 milioni di tonnellate Oggi la flotta mercantile di bandiera italiana è tra le principali al mondo (la 3/a dei grandi Paesi del G20) e si situa intorno ai 16 milioni di tonnellate di stazza, con posizioni di assoluto rilievo nei settori più sofisticati (ro-ro, navi da crociera, navi per prodotti chimici). L’Italia mantiene la leadership europea nel traffico crocieristico (con 4.600 scali di navi e 6,2 milioni di passeggeri), e nella costruzione di navi passeggeri e yacht di lusso.

Ansa/Mare – 20/05/2018

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«Tav Brescia-Verona? Nessuno stop da Roma»

«I cantieri saranno aperti entro l’anno». Su Trenord nei prossimi giorni proposta per la nuova governance

di Mimmo Varone

«Il cantiere per la Tav a Lonato aprirà entro l’anno e non ci saranno ripercussioni da Roma». L’ad di Fs Renato Mazzoncini non è preoccupato dalla possibile frenata sui progetti per l’Alta Velocità che potrebbe arrivare dal governo Lega-5 Stelle. Intanto la Tav per Verona va: «Il contratto con Cepav 2 è praticamente firmato», precisa Mazzoncini. Quanto all’uscita dalla città a est, Mazzoncini sottolinea che il progetto «è in fase di studio e lo presenteremo entro la seconda metà di quest’anno». Tuttavia in risposta alle preoccupazioni già manifestate da qualche comitato, «non le capisco – sottolinea – abbiamo già indicato che l’impatto sarà minimo e non ricordiamo a memoria d’uomo una situazione in cui un’opera di Rfi abbia generato un peggioramento alle persone coinvolte. Il meccanismo degli espropri e le nuove soluzioni abitative hanno portato in tutti i casi a un miglioramento delle condizioni. Nessuno è uscito scontento e la stessa cosa accadrà a Brescia».

Altro tema che interessa direttamente i pendolari bresciani, l’accordo tra Ferrovie e Regione Lombardia per modificare la governance di Trenord, che con la nuova giunta Fontana sembra a portata di mano. Soprattutto, entrambi i soci paritari (la Regione indirettamente con Fnm) mostrano la volontà di risolvere la questione in fretta per aprire in primo luogo la strada agli investimenti delle Ferrovie.

MAZZONCINI ancora non si sbilancia del tutto ma ammette che ci sono novità. Il neo assessore regionale alle Infrastrutture Claudia Terzi non fa mistero che «la situazione di Trenord è insostenibile e un cambiamento è scontato soprattutto per il presidente Attilio Fontana». Mazzoncini e Terzi ieri erano a Brescia per l’inaugurazione della Sala Freccia in Stazione, e l’ad di Fs ha lanciato pure rassicurazioni alla città sul quadruplicamento dei binari in uscita verso est.

«Dopo la situazione di stallo in cui eravamo da molti mesi, la discussione si è riaperta – dice Mazzoncini -. C’è la consapevolezza di dover rilanciare gli investimenti su Trenord che ha un problema di flotta, con la quale è impossibile dare un servizio di qualità. Trenord con 300 treni ha la flotta più importante delle regioni italiane, ma ce ne sono circa 160 da sostituire e serve un piano per farlo il più rapidamente possibile. Noi siamo pronti con Trenitalia a sostenere anche l’intero investimento. Come fatto in Liguria, Emilia, Veneto, occorre un contratto di servizio sufficientemente lungo per ammortizzare, ma il confronto con la Regione si sta sviluppando in maniera molto seria e veloce». Dunque, «presenteremo nei prossimi giorni una proposta definitiva alla Regione – aggiunge – Certo, l’attuale governance, e la partecipazione paritaria è uno degli elementi, di fatto non rende interessante investire, quindi bisogna trovare una governance che consenta a uno degli azionisti di farlo. Da questo punto di vista le soluzioni sono abbastanza standard e le metteremo sul tavolo della Regione». Terzi, per parte sua, condivide la fretta di cambiare, con una «riorganizzazione che duri almeno 15 anni». E ammette che «cedere l’1 per cento è una delle ipotesi».

Brescia Oggi – 20/05/2018

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Bolzano-Alto Adige: 17 nuove stazioni di ricarica per le auto elettriche

18 Maggio 2018

Le auto elettriche stanno diventando sempre più numerose sulle strade dell’Alto Adige. Per dare un ulteriore impulso a questa forma di mobilità innovativa e sostenibile, negli ultimi mesi sono state installate 17 nuove stazioni di ricarica. L’operazione è stata realizzata nell’ambito di un bando nazionale su iniziativa di Green Mobility e con il coinvolgimento della STA (Strutture trasporto Alto Adige) . La maggior parte delle stazioni di ricarica è stata finanziata dal ministero dei trasporti italiano e le altre sono state prese in carico dalla Provincia.

“Siamo convinti – afferma l’assessore Florian Mussner – che l’elettromobilità sia la strada giusta. Per riuscire a convincere gli altoatesini della bontà di questa tecnologia, negli ultimi mesi abbiamo lavorato per sviluppare la rete di stazioni di ricarica pubbliche. Più opzioni di ricarica ci sono, infatti, più veicoli elettrici possono circolare liberamente in Alto Adige”. Secondo l’assessore, inoltre, era “importante coinvolgere attivamente fin dall’inizio le  comunità e i servizi pubblici locali”. Mussner nei giorni scorsi ha simbolicamente consegnato le 17 nuove stazioni di ricarica a Bressanone assieme al sindaco Peter Brunner, agli assessori comunali Paula Bacher e Josef  Unterrainer, al direttore dell’Asm, Karl Michaeler, e al direttore tecnico di Alperia Smart Mobility, Massimo Minighini.

Nella domanda di progetto originale, depositata presso il ministero dei trasporti italiano nel 2013, erano state previste in tutto 10 stazioni di ricarica. “Nell’ambito della realizzazione assieme ad Alperia Smart Mobility – spiega l’amministratore delegato di STA, Joachim Dejaco – il progetto è stato ampliato ed ora vi sono 8 stazioni di ricarica fast charger multipresa (Triple Charger, corrente alternata e continua) e ulteriori 9 stazioni a corrente alternata da 22 kilowatt. Quindi l’Alto Adige oggi dispone di un totale di 60 stazioni di ricarica pubbliche”. Le stazioni di ricarica multipresa si trovano a Bolzano, Bressanone, Brunico, Vipiteno, Chiusa, Salorno, Silandro e Dobbiaco; quelle da 22 kilowatt sono state installate a Vipiteno, Chiusa, Bressanone, Egna, Monguelfo, Nova Ponente, Renon, Fiè e Castelbello.

Con l’obiettivo di avere sempre una panoramica su dove si trovano le colonnine di ricarica e se sono libere o occupate, Green Mobility, in collaborazione con IDM Alto Adige e con Ecosystems ICT & Automation, ha creato il portale charge.greenmobility.bz.it . “In questa pagina internet – spiega Harald Reiterer coordinatore della Green Mobility – è disponibile una cartina dell’Alto Adige nella quale sono visualizzate tutte le stazioni di ricarica e si può sapere in tempo reale se sono libere o meno. Con questa mappa la mobilità elettrica diventa più vicina e appetibile per i cittadini”. Tutti i dati presenti sul sito sono disponibili come open data, il che significa che le informazioni sono disponibili per altre piattaforme e applicazioni online in qualsiasi momento e senza restrizioni.

Trasporti-Italia.com – 18/05/2018

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