I passaggi lungo la rete autostradale si impennano, il porto di Trieste registra un incremento record, il Pil aumenta, la disoccupazione tornata a livelli tedeschi, anche i distretti conoscono una seconda giovinezza
di Sandro Mangiaterra
D’ accordo, i dati parlano da soli: il motore dello sviluppo del Paese si è spostato a Est. C’erano una volta le capitali della vecchia industria pesante: Milano-Torino-Genova. Oggi, in epoca di mercati globali, la manifattura 4.0 trova terreno fertile nel nuovo triangolo industriale Milano-Bologna-Venezia (o meglio ancora Trieste). Il punto è che per capire cosa è davvero questo nuovo triangolo industriale e quanto è importante starci dentro, non basta mettere in fila gli indicatori macroeconomici. Ci vuole qualcosa di più. Per esempio, si deve ascoltare Francesco Zago, figlio di Bruno, il fondatore della Pro-Gest, colosso della carta (22 stabilimenti, 500 milioni di fatturato, 1.300 dipendenti) con sede a Istrana, in provincia di Treviso. Francesco, responsabile della divisione cartiere del gruppo, sta curando il rilancio della ex Burgo di Mantova, chiusa nel 2013, acquisita nel giugno 2015 e ormai vicina al ritorno alla produzione. Un investimento importantissimo, nell’ordine di 250 milioni. Base di partenza, la ristrutturazione dello «stabilimento sospeso» ideato nei primi anni Sessanta dall’architetto Pier Luigi Nervi (per intenderci, lo stesso che ha realizzato l’aula delle udienze pontificie in Vaticano). Poi, entro luglio, nell’enorme open space dell’edificio, inizierà a girare la più veloce e produttiva macchina per carta continua mai installata in Italia: 200 metri di lunghezza e 7,6 di larghezza. A regime è prevista l’assunzione di almeno cento lavoratori e altre 500 persone opereranno nell’indotto. Un’operazione come se ne vedono poche in Italia. Quello che conta maggiormente, tuttavia, è il presupposto strategico, decisivo nel momento di mettere mano al portafogli: la centralità di Mantova, proprio nel cuore del famoso nuovo triangolo industriale, affacciata sulla A22 Verona-Brennero e con collegamenti immediati alla A1 verso Bologna e alla A4 direzione Milano o Venezia. Attenzione: non è una banale questione di comodità di accesso alle autostrade, in ballo ci sono interessi commerciali e vantaggi competitivi che vanno a impattare dritto dritto sui bilanci. «A Mantova» spiega Zago «produrremo 400 mila tonnellate annue di carta che dovrà essere ulteriormente lavorata per diventare prodotto finito, cioè carta ondulata per imballaggi. In concreto, stiamo parlando di 55 Tir al giorno che entreranno con carta da macero e 55 che usciranno con enormi bobine per raggiungere altri stabilimenti, nostri o di terzi, situati in Lombardia, Veneto, nel Centro Italia, ma anche in Baviera e in Slovenia. Il nodo è esattamente questo. Nel nostro settore il trasporto ha grande incidenza: è necessario muoversi in un raggio di 400 chilometri, altrimenti i costi s’impennano. Di conseguenza, la posizione geografica diventa un fattore chiave. Investire a Nordest o altrove non era affatto la stessa cosa. Solamente di trasporto contiamo di risparmiare 15-16 milioni all’anno». Non finisce qui. La cartiere mantovana dispone di un porto interno, sul Mincio. E Zago sta già pensando alla possibilità di utilizzarlo per la movimentazione dei container: «La Pro-Gest ha un piano di crescita in Nord Africa. Il collegamento via acqua con il sistema portuale dell’Adriatico ci farebbe molto comodo».
Vento di Nordest
Chiaro il concetto? In Italia, anzi in tutta Europa, soffia un bel vento di Nordest. Gli effetti si vedono. Per cominciare, c’è il progressivo spostamento dei flussi di traffico. Secondo uno studio della Cgia di Mestre, nel primo semestre del 2017, lungo la rete autostradale Milano-Padova-Bologna, sono transitati in media 240 mila Tir al giorno, contro i 148 mila che hanno percorso il vecchio triangolo Milano-Torino-Genova. L’anno scorso sulla Brescia-Padova le auto sono aumentate del 3,5%, i veicoli pesanti del 5: la realizzazione della quarta corsia, soldi permettendo, sta diventando un’urgenza. La A22 del Brennero segna un più 2,2% di vetture e un più 6,4 di Tir. La Cav, la società che gestisce il passante di Mestre e il tratto fino a Padova, registra complessivamente un più 3,7% di passaggi. Stesso boom per quanto riguarda i traffici nei porti. Trieste ha toccato i 616.156 Teu (l’unità di misura dei container), con un incremento record del 26,6% sul 2016, Venezia segue a ruota, con 611.383 Teu, più 0,9%.
Il nuovo triangolo
La mobilità delle persone e delle merci non è che uno dei dati in crescita. In realtà, è l’intera economia del Nordest (che riunisce, per la statistica, Veneto, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia) a essere attraversata da una ripresa ben più energica di quella che pure sta interessando il Nordovest (Lombardia, Piemonte, Liguria e Val d’Aosta). Sul fronte orientale il Pil cresce di qualche decimale in più rispetto a occidente, dove peraltro si sta allargando la forbice tra Lombardia che vola e Piemonte e Liguria che arrancano. Ancora più netta la distanza per quanto riguarda il lavoro: il tasso di disoccupazione a Nordest è (ri)disceso al 6,3%, un livello da Germania, contro il 7,4 del Nordovest. Nella fascia tra i 15 e i 24 anni siamo rispettivamente al 20,6 e al 26,6%. Certo, la Grande Crisi ha provocato un’autentica selezione darwiniana delle imprese, ma quelle che hanno resistito hanno a poco a poco cambiato pelle, puntando su innovazione e internazionalizzazione. Le cosiddette imprese champion (il 12,1% in Veneto, il 10,3 in Lombardia), capaci di correre impetuosamente nonostante le mille difficoltà congiunturali, hanno indicato la rotta da seguire. In questo scenario si è infine inserita la rivoluzione di Industria 4.0, che sta dando nuova linfa vitale a tutto il manifatturiero, compresi il tessile, il mobile-arredo e gli altri «settori maturi». Risultato: persino i cari, vecchi distretti stanno vivendo una seconda giovinezza. E guarda caso Intesa Sanpaolo, nella top 20 relativa alla crescita e alle performance per il biennio 2016-2017, inserisce dieci distretti del Nordest contro cinque del Nordovest. Primo posto assoluto per l’occhialeria di Belluno, terzo per il prosecco di Conegliano e Valdobbiadene. Ma in classifica, a proposito di settori maturi che dimostrano di avere sette vite, compaiono anche le materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova, la meccanica vicentina e gli elettrodomestici della Inox Valley, a cavallo tra Veneto e Friuli.
L’attimo fuggente
Insomma, la mitica locomotiva è ripartita. Ora c’è da augurarsi che possa viaggiare a tutto vapore più a lungo possibile. A dispetto di chi, tra incertezze politiche interne e tensioni planetarie, vede neri segnali di rallentamento della ripresa. «Sta di fatto che mai come oggi il Nordest è favorito dalla situazione geopolitica, o se si preferisce geoeconomica» sostiene Barbara Gaudenzi, direttrice del master in logistica integrata dell’università di Verona. «La ragione è semplice. I traffici internazionali e di conseguenza gli investimenti della Commissione di Bruxelles seguono i corridoi che uniscono il Mediterraneo al Mare del Nord e alle repubbliche baltiche, naturalmente passando per la Germania. Il Nordest è lì, al centro del gioco. Non per niente l’interporto Quadrante Europa di Verona, per movimento e soprattutto per servizi offerti, in primis l’intermodalità ferroviaria, è ormai il più importante a livello continentale. Poi c’è da intercettare il crescente flusso di merci in arrivo dalla Cina. I porti dell’Alto Adriatico rappresentano un hub di approdo naturale. La nuova Via della seta è un’opportunità di sviluppo che va colta al volo: se Trieste o Venezia sono troppo care e inefficienti, gli operatori impiegano un secondo a scegliere Rotterdam o Amburgo». Investire sulla logistica, dunque, come passo indispensabile per consolidare la ripresa. Per rendere strutturali quegli elementi favorevoli che stanno avvantaggiando il Nordest. Ma forse la prima cosa da fare sarebbe un’altra, molto più semplice di qualsiasi strategia di politica economica: unire le forze, superare i campanilismi, provare a governare i cambiamenti. Un esempio per tutti. Non si ripete in continuazione che il Nordest è terra di export? Verissimo. Nel 2017 le vendite all’estero sono aumentate del 6,6%. Peccato che proprio su questa voce il Nordovest sia davanti: più 7,6%. E anche la media nazionale è superiore: più 7,4. Colpa dell’eccessiva frammentazione delle iniziative di sostegno all’internazionalizzazione, delle troppe missioni fai-da-te, della mistica, dura a morire, dell’imprenditore perennemente in viaggio con la sua valigetta. «Non c’è dubbio» allarga le braccia Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustria Treviso, «il Veneto che rimpiange il boom degli anni Ottanta e Novanta, ancorato ai confini provinciali, diviso sulle fiere, le società del trasporto pubblico, le multiutility, è quanto meno anacronistico. Noi, con la fusione delle associazioni confindustriali di Treviso e Padova, abbiamo lanciato un sasso nello stagno. Speriamo che altri ci seguano. L’obiettivo è la nascita di un’unica, potente confindustria regionale, capace di dialogare alla pari con Assolombarda e Confindustria Emilia». Gira che ti rigira, il nuovo triangolo industriale torna sempre fuori. «Milano, Bologna…» continua Maria Cristina Piovesana «e qui alcuni indicano Padova, altri Venezia o addirittura Pordenone. La verità è che il terzo vertice, quello veneto, va assolutamente rinforzato. Non occorrerebbe nemmeno troppa fantasia. Basterebbe riprendere in mano il sogno della Pa-Tre-Ve, la grande metropoli Padova-Treviso-Venezia». Già, il Nordest ha bisogno di un centro di gravità permanente.
Corriere del Veneto – 15/05/2018
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