«Sì. l’ho detto e lo confermo: il Ponte sullo Stretto di per sé non lo considero una priorità. La domanda che mi faccio è un’altra: vogliamo che il Mezzogiorno sia connesso al resto d’Italia o no? Possiamo tollerare che tra Roma e Palermo in treno ci si mettano dieci ore e mezzo e tra Roma e Milano tre? Noi stiamo lavorando per connettere l’Italia e i corridoi europei sono una risorsa economica e sociale».
Ministro, significa che il Ponte finiremo per farlo? «Non per forza. Io sto facendo fare uno studio di fattibilità sul corridoio Napoli-Palermo, dopo di che vedremo: risulta però complicato pensare che un’opera di alta velocità si interrompa. L’ importante è che passi il treno, sopra o sotto vedremo. Ora non voglio entrare nel merito». Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture, si alza dalla sedia per farci vedere un grafico curioso, elaborato dalla struttura tecnica di missione del Mit. È un “cartogramma deformato” dello Stivale. Il gambale del Centro-Nord è smisuratamente largo mentre la punta e il tacco del Sud sono esili fili. Le isole scomparse. Ogni area viene ingigantita o ridimensionata a seconda del numero di treni ad alta velocità che arrivano ogni giorno. «Lo vede, ci sono intere regioni sconnesse: tutto il Mezzogiorno tranne la Campania ma anche la Liguria. Collegarle vuol dire far partire l’ economia di quei territori. Questo Paese ha bisogno di muoversi meglio: persone e merci. Soprattutto via ferro. Per questo abbiamo puntato su quattro direttrici: la linea adriatica Bologna- Lecce (300 milioni da spendere in innovazione tecnologica per risparmiare un’ ora secca di tempo, più 550 milioni per il nodo Termoli-Lesina); la linea Napoli- Bari (oltre 6 miliardi, dai 2,2 della legge obiettivo, due ore invece di tre e quaranta); la Messina- Catania-Palermo e infine la Tirrenica Napoli-Palermo».
Lei parla di grandi opere di collegamento. Ma in Italia c’ è un bisogno enorme anche di cantieri di minori dimensioni ma più urgenti: difesa delsuolo, messa in sicurezza degli edifici, manutenzione. Non sarebbe il caso di privilegiarli? «Stiamo facendo molto anche per questo tipo di infrastrutture. L’Anas ha una quantità di risorse per la manutenzione stradale dieci volte superiore che in passato, soldi che sta spendendo subito. Nel piano di Ferrovie dei prossimi dieci anni ci sono 32 miliardi per la rete tradizionale, contro i 24 per le nuove linee di alta velocità del Sud. Questo però non significa che non si debbano mandare avanti anche le altre opere. L’ importante è che siano utili».
Sono utili? Da più parti si criticano i progetti in corso, dalla Napoli-Bari alla stessa Torino- Lione, dal Brennero al terzo valico Milano-Genova. Opere che sovrastimerebbero il futuro traffico, mai sottoposte a rigorose valutazioni. Il piano di revisione previsto si applicherà solo ai progetti futuri? È una marcia indietro? «No, nessuna marcia indietro. Stiamo rivedendo tutti i progetti e per molti abbiamo ridimensionato i costi. La Torino-Lione costava 4,3 miliardi, costerà 1,7. La Venezia-Trieste alta velocità costava 7 miliardi, spenderemo solo 300 milioni. È chiaro però che se è stata fatta già la gara non posso sospenderla. Altrimenti vado incontro alle penali. E se devo pagare 2 miliardi come sarebbe stata la penale per stoppare la Brebemi Milano-Brescia, preferisco completarla».
È vero, come dice l’ Ufficio parlamentare di bilancio che il personale dei ministeri non ha la professionalità per valutare i progetti? Come scegliete le opere meritevoli? «Se ne occupa la nostra struttura di missione, formata da esperti di livello internazionale».
Quali sono i cantieri più avanti nei lavori? «Il tunnel del Brennero, il terzo valico dei Giovi per portare in Svizzera e in Germania le merci provenienti da Genova, e la Napoli- Bari, inclusa la stazione di Afragola. Per le strade: la Caltanissetta- Agrigento e la Salerno-Reggio Calabria».
Quali risultati finora in termini di miliardi investiti? «I bandi nel 2012-2013 valevano 18 miliardi, nel 2014-2015 sono saliti a 32. Ma i bandi non significano cantieri. L’aumento delle opere cantierate è stato molto più modesto, lo 0,8%, che tuttavia ha interrotto un crollo spaventoso: tra investimenti pubblici e privati 110 miliardi in meno in 7 anni. Quest’ anno faremo l’1,5% in più e nel 2019 arriveremo a 285 miliardi (tra pubblici e privati) contro gli attuali 259. Ma bisogna curare le malattie croniche di questo nostro Paese, dalla corruzione ai progetti fatti male, che moltiplicano tempi, costi contenziosi. A questo serve il nuovo codice degli appalti».
La Repubblica – 10.10.2016
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