Cervignano hub per le merci di Trieste

di Erika Adami

LO SVILUPPO INDUSTRIALE del Friuli corre su rotaia e il «treno» passa per Cervignano. Sta decollando, infatti, il sistema logistico regionale integrato con il sistema portuale di Trieste (unico porto franco in Europa con conseguenti vantaggi finanziari) che vedrà l’interporto friulano giocare un ruolo di primo piano. Lo assicura Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, che governa lo scalo giuliano, che abbiamo intervistato prima del dibattito «Quale futuro per l’interporto di Cervignano?» promosso, il 18 luglio a Bagnaria Arsa, dal locale Comitato «No Tav» e moderato dal direttore della Vita Cattolica, Roberto Pensa. La strategia della Regione è basata su una nuova alleanza tra Friuli e Trieste che fa del corridoio Adriatico-Baltico, direttrice di traffici essenziale tra nord e sud, una risorsa. Sul corridoio (quel tracciato ferroviario ad alta capacità che, in regione, si appoggia sul valico di Tarvisio e sulla ferrovia Pontebbana Udine-Tarvisio e, in un’ottica di intermodalità, sul porto di Trieste) sono situate diverse zone industriali della provincia di Udine, che potrebbero sfruttare questa circostanza anche per attrarre nuove attività industriali. Diversamente, il Friuli rimarrebbe solo un «passaggio» senza grandi ricadute sul territorio, come accaduto finora. Con il Decreto Delrio l’Autorità portuale di Trieste governerà il porto di Monfalcone e anche l’interporto di Cervignano grazie al progetto logistico «Porto-Regione», in cui le attività sui moli sono integrate con quelle degli interporti nel retroterra lungo le dorsali ferroviarie. Perché per recuperare la competitività economica va recuperata l’efficienza della logistica e dei trasporti. «Le infrastrutture bisogna saperle gestire e mettere in rete», dice D’Agostino, per ottimizzare investimenti e asset, per erogare servizi di qualità alle imprese e fornire il supporto all’intero sistema economico in modo da attrarre dall’esterno capitali, imprese, competenze.

Presidente D’Agostino, da dove partire? «Non si fa sviluppo se non ci sono i traffici. A Trieste, in 3 anni, siamo riusciti a raddoppiare il numero di treni merci. Rispetto ai 4 mila 500 del 2014, chiuderemo l’anno con 9 mila. Il boom ferroviario sul porto è frutto di un’azione di marketing e soprattutto di riorganizzazione di tutte le attività interne al porto che ha permesso al mercato di trovare risposta alla domanda che prima non veniva soddisfatta; abbiamo cominciato a ridefinire tutte le manovre ferroviarie, abbiamo cambiato costi, tempi, acquisito tutta una serie di interessi, di traffici che ci hanno permesso di fare ragionamenti più in grande rispetto ai normali confini del porto, in un’ottica di rete. Per alcuni traffici, il porto sta diventando piccolo, abbiamo pensato che valeva la pena connetterlo con altre realtà, visto che abbiamo piattaforme logistiche ferroviarie di prim’ordine. Il primo soggetto integrato è stato l’interporto di Trieste, quello di Fernetti. Oggi stiamo ragionando su Villa Opicina e Cervignano. E, nei prossimi mesi, col Decreto Delrio, anche Monfalcone finirà nell’Authority di sistema: ci sarà un’integrazione non solo con gli interporti, ma anche con i porti regionali».

L’interporto di Cervignano è pronto a entrare nella rete? «Lo scalo merci ha problemi di adeguamento. Per esempio, non ha l’autorizzazione per far transitare sui treni le merci pericolose. E non parliamo di esplosivi. Oggi praticamente tutto è considerato merce pericolosa, anche la margarina! A Trieste possiamo gestire le merci pericolose nel porto, chi deve entrare nel network del porto deve avere le stesse caratteristiche del porto. Insieme a Rfi (Rete ferroviaria italiana) effettueremo degli interventi infrastrutturali per adeguare lo scalo merci di Cervignano – non l’interporto, che è adeguato -, però i treni passano dallo scalo e lo scalo oggi non può ospitare le merci pericolose».

A quali interventi si riferisce? «Banalmente, a un binario che va attrezzato in modo che dallo scalo all’interporto ci sia la possibilità di far transitare treni con merci pericolose. Nessuno, finora, ci ha messo la testa».

Dunque, la relazione con l’interporto di Cervignano è iniziata. «Sì, formalmente non ha nessun rapporto societario con noi, ma operativamente stiamo pianificando che una serie di convogli da e per lo scalo triestino faccia capo all’interporto di Cervignano per movimentare le merci delle aziende friulane, che attualmente non utilizzano né il porto né la ferrovia, non potendo quindi avvalersi di un possibile vantaggio competitivo in termini di costi. Fermandoci in Friuli, ottimizziamo le nostre attività e diamo nel contempo un servizio alle imprese friulane su destinazioni che, con i propri carichi, non potrebbero gestire da sole. Per fare questo dobbiamo connettere Cervignano e Trieste via treno. C’è una importante novità. L’11 luglio la nostra impresa di manovra ferroviaria, Adriafer, che prima poteva operare dentro al porto, è stata certificata come impresa ferroviaria».

E cosa significa concretamente? «Abbiamo acquisito la possibilità che Adriafer possa fare treni in rete, nel contesto regionale. Quindi su Cervignano graviteranno alcuni treni diretti verso il nord (si tratta di collegamenti con Austria, Germania, Lussemburgo… e, attraverso il nodo di Kiel, a nord di Amburgo, anche in Svezia e Norvegia) e faremo degli shuttle ferroviari che andranno avanti e indietro tra il porto di Trieste e Cervignano. Dovremo comprare gli spazi sulla rete, ma manca poco. Per l’intervento sui binari di Rfi, ci vorrà qualche mese, a quel punto avremo l’infrastruttura adeguata. Il mercato con cui stiamo dialogando negli ultimi mesi deve abituarsi al fatto che Cervignano diventerà un hub ferroviario di riferimento. D’altra parte, l’aver già spostato su Cervignano certe attività è una cosa che ci ha richiesto il mercato e che stiamo sviluppando. Non c’è sviluppo senza traffici, glielo dicevo all’inizio».

Si inizia così a «sanare», almeno in parte, un gap importante. Da anni si parla delle potenzialità del corridoio AdriaticoBaltico, ma le imprese friulane solo in minima parte lo utilizzano. Come si possono rendere più attrattive e competitive per futuri investimenti le zone industriali friulane? «Dobbiamo ragionare in termini di economie di scala, non possiamo pensare che lavorino tutte. Un servizio intermodale deve garantire non solo il fatto di riempire un treno, ma anche una frequenza. Se concentro il servizio su pochi punti riesco a ottenere quelle economie che mi permettono di avere i convogli giusti con la giusta frequenza. Stiamo facendo dei ragionamenti anche con altre zone industriali, per esempio con Osoppo, che ha una forte specializzazione siderurgica e il cui traffico potrebbe essere collegato con Porto Nogaro. Di cose da fare ce ne sono, un po’ dappertutto, ma la dispersione sul territorio in più piattaforme ferroviarie, intermodali, va in controtendenza rispetto alla nostra esigenza».

Ma le zone industriali più attrattive cosa dovrebbero fare? «Il problema vero di solito non è nelle infrastrutture, ma nella gestione. Quella di un terminal ferroviario è molto costosa. Senza treni, si chiude. A Trieste abbiamo superato il punto di pareggio. Con 9 mila treni all’anno, circa 30 al giorno, lavorando 5/6 giorni alla settimana, la nostra gestione è virtuosa. Non è una questione di infrastrutture – personalmente ritengo che ne abbiamo anche troppe, 3 porti e 4 interporti, al contrario di quanto pensa qualcuno -, né di chi comanda. Le infrastrutture bisogna saperle gestire, metterle in rete, a quel punto si ottengono risultati. Serve una visione unica che incrocia le esigenze del mercato».

In questa prospettiva, il raddoppio Udine-Cervignano è molto importante. «Sì, visti i numeri di treni sempre crescenti che abbiamo, che ci portano a pianificare anche terminal ferroviari nuovi nei porti. Nel giro di qualche anno arriveremo a 20 mila treni l’anno. E siccome buona parte dei convogli va verso nord, da lì si passa».

Nel sistema entrerà anche Porto Nogaro? «Durante il 2018 penso che avremo gli atti propedeutici per farlo entrare. Porto Nogaro ha una sua specializzazione, anche importante, ma bisogna fare i conti con la realtà. A Porto Nogaro ci sono 7 metri di pescaggio, circa 10 metri a Monfalcone, 18 a Trieste».

La Vita Cattolica – 19.07.2017

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