Alle merci servono i binari

Italia ancora lontana da un sano utilizzo del trasporto su “ferro” In Europa passa dai treni il 20% dei cargo, da noi meno del 10%. C’è molto spazio per crescere.

di Paolo Pittaluga

Che le inefficienze della logistica italiana rappresentino un gap per il Belpaese è arcinoto. Se a ciò si aggiunge che il trasporto merci è ad appannaggio per oltre il 90% della gomma, che gli interporti sono pochi (nonostante Conship abbia raddoppiato Melzo, Padova l’abbia potenziato e ci sono tre grossi progetti di Mercitalia e Hupac a Milano, Brescia e Piacenza) e non del tutto adeguati alle future esigenze appare chiaro come si debba rincorrere perché l’economia italiana non si trovi a breve tagliata fuori dai grandi corridoi. L’ultima giornata di Expo Ferroviaria ha analizzato il settore merci, dagli anni ’80 palla al piede della trasportistica dello Stivale. Trent’anni dopo si deve parlare di intermodalità, ma lo si fa con la consapevolezza di scalare una montagna. Anche se con la “manovrina” di giugno viene dato un nuovo impulso all’intermodalità ferroviaria, con misure quali la proroga di due anni dello sconto pedaggio e fissando un contributo per la formazione di nuovi macchinisti, oltre a una serie di altri interventi a favore del trasporto su ferro. Negli ultimi due anni il Governo ha cercato di fare quello che viene fatto in Europa, permettendo la lunghezza di 750 metri dei convogli e arrivando alle 2mila tonnellate per convoglio. Il che, secondo agli addetti ai lavori, si monetizza in una riduzione del 20% delle tariffe. Così nel 2015 il traffico è cresciuto del 2% e nel 2016 del 6% – e i privati aderenti a Fercargo, ad esempio del 21%. Così, oggi, è possibile pensare di investire per uno “split” modale più robusto per avvicinare l’Europa (dove il trasporto su ferro supera il 20%) e prepararsi al IV° Pacchetto ferroviario approvato dall’Unione a dicembre ma non ancora operativo. Senza dimenticare che ci sono quattro tunnel di base in costruzione (Monte Ceneri in Svizzera sull’asse del Gottardo, Terzo Valico, della Genova-Milano, Torino-Lione e Brennero). Inevitabile quindi la crescita del trasporto su ferro come ci viene richiesto dagli altri Paesi. Ma si deve essere veloci nell’apportare quell’innovazione che serve alla nostra competitività. A partire dall’introduzione del macchinista unico che in Italia non è ammesso, non dalla contrarietà dei sindacati ma dalle decisioni delle Usl che cambiano da Regione a Regione. Anche perché nel 2019-20 l’Europa avrà un sistema di segnalamento unico e i macchinisti potranno guidare in tutti i Paesi. E poi l’ottimizzazione delle attività di manovra diminuendo tempi e costi. Senza trascurare che andrebbe rivisto il concetto di carro singolo e di traffico diffuso che solo da noi è stato abbandonato. Mentre all’orizzonte si profila l’avvento del treno intelligente, un convoglio merci “connesso” – con una diagnostica digitale – allo studio di Mercitalia.

Avvenire/Economia & Lavoro – 06.10.2017

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