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Settembre 2020
Volotea batte la paura. Trasportati in estate oltre 157.500 passeggeri
La triste storia dell’idrovia Padova-Venezia, la Salerno-Reggio Calabria del nord… ma su acqua
Sessantacinque anni di discussioni per una delle grandi incompiute d’Italia, dalla guerriglia interna alla Dc sino a Tangentopoli, dai cambi di percorso a quelli di competenza. Ma è già costata oltre 100 milioni di euro
di Francesco Jori
Se sessantacinque anni vi sembran pochi… E’ dal lontano 1955 che si parla dell’idrovia PadovaVenezia, definita da qualcuno la Salerno-Reggio Calabria del nord, su acqua anziché su strada; e che dopo un lunghissimo sonno pare avviarsi al risveglio in virtù della mozione votata nei giorni scorsi dalla Camera in maniera pressoché unanime.
Una delle più clamorose incompiute d’Italia. Se finalmente entrerà in funzione, lo farà peraltro con uno scopo diverso rispetto a quello pensato in origine: non più come infrastruttura strategica di trasporto via acqua, ma come strumento di tutela idraulica del territorio, e in particolare del Padovano, dalle piene fluviali del turbolento sistema Brenta – Bacchiglione.
La storia infinita inizia nel 1955, con l’idea delle Camere di Commercio padovana e veneziana di realizzare una vera e propria autostrada d’acqua tra le due città; è il Genio civile di Venezia a farsi carico del progetto. Contemporaneamente si avvia la ricerca dei fondi, e al tempo stesso si innesca una delle tante sotterranee guerre di campanile tipiche del profondo Veneto: politicamente, la Democrazia Cristiana è egemone, ma al suo interno opera la guerriglia tra correnti, specie tra i dorotei dominanti e la minoranza morotea.
Il Polesine, in particolare, cavalca una sua idrovia, la Fissero-Tartaro-Canal Bianco per collegare Mantova con l’Adriatico; e che poi verrà puntualmente realizzata. All’inizio tuttavia padovani e veneziani sembrano vincere la partita: nel febbraio 1963, capo del governo Amintore Fanfani, vengono stanziati 7 miliardi e mezzo di lire a carico dello Stato, e un altro miliardo viene aggiunto dagli enti locali delle due province.
Qui cominciano però le complicazioni. L’anno successivo si decide un cambio di percorso: anziché seguire il Naviglio del Brenta, parallelo all’omonima riviera, e sfociare all’altezza di Fusina, il tracciato del canale viene spostato di un paio di chilometri più a sud, portandolo a riversarsi in laguna attraverso il già esistente canale di Dogaletto, in linea con le bocche di porto di Malamocco.
Nel 1965 nasce il Consorzio per l’idrovia Padova-Venezia, con la partecipazione delle due Province e dei due Comuni capoluogo; e finalmente nel 1968 aprono i cantieri. Sul versante padovano si mette mano ai ponti stradali, su quello veneziano si procede con lo scavo del canale tra il Novissimo e la laguna, i lavori per la conca Romea e la costruzione del ponte ferroviario sulla linea Mestre-Adria. Tutto sembra procedere per il meglio, al punto che nel 1970 i titoli dei giornali assicurano: nel 1975 l’idrovia verrà completata.
Invece tutto si blocca, e per anni. Le cose sembrano rimettersi in moto nel 1977, con una serie di interventi peraltro lunghissimi. Otto anni dopo, le opere realizzate passano di mano, rientrando sotto la competenza del Genio civile di Venezia anche per quanto riguarda la necessaria manutenzione di quanto fin lì posto in essere. Il progetto assomiglia però sempre più a una sorta di storia del sior Intento; al punto che nel marzo 1988, con decreto del presidente della Repubblica, il Consorzio per l’idrovia viene soppresso.
Una fiammella pare accendersi l’anno seguente, quando il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica, stanzia 14 miliardi di lire per far ripartire i cantieri, mentre la Regione ci mette 214 milioni per la necessaria manutenzione dell’esistente, già intaccato dal degrado. Prendono vita alcune infrastrutture collaterali, e sul lato padovano comincia a prendere forma il porto interno, con tanto di banchine e approdi.
Ma nel 1992, con l’esplodere di tangentopoli, tutto si ferma inesorabilmente; e il tracciato dell’idrovia diventa via via un cimitero di cemento, ferraglia e ruggine: tutto ciò che è stato costruito è ormai inservibile. L’opera risulta monca: costruita per poco più della metà, con un ritmo di avanzamento di 470 metri l’anno, e manufatti che cadono a pezzi.
Cominciano ad emergere piani alternativi, inclusa la costruzione di una camionabile che assorba il sempre più intenso traffico autostradale della Padova-Mestre. Ma si pensa soprattutto a un utilizzo come canale scolmatore in funzione di messa in sicurezza dai dissesti idrogeologici che continuano a manifestarsi nell’area, con gravi danni al territorio (vedi i catastrofici eventi del 2010, 2011, 2014, 2017, 2018).
Nel 2012 la Regione commissiona uno studio di fattibilità, ultimato nel 2016; ma a mancare sono i fondi. Che adesso si profilano all’orizzonte, con la mozione della Camera; in cui peraltro lo stato dell’arte dell’opera è fotografato in modo impietoso: “Una serie di monconi inutilizzabili”.
Serve mezzo miliardo di euro, cifra con la quale si potrebbe garantire un doppio uso: come canale scolmatore, in grado di assicurare una portata di 350 metri cubi d’acqua al secondo in caso di piene del sistema Brenta-Bacchiglione; ma anche come canale navigabile di quinta classe, capace di ospitare chiatte attrezzate per caricare container pari a 60 camion o 2 treni merci.
Ad oggi, secondo stime di massima, l’idrovia Padova-Venezia è già venuta a costare alla collettività una cifra compresa tra i 100 e i 150 milioni di euro; una spesa, allo stato, letteralmente buttata. Dall’idea iniziale di dar vita a una moderna via d’acqua di standard europeo, fondamentale in un’adeguata strategia della mobilità, si è passati a un’opera che fa acqua da tutte le parti: con la speranza che serva almeno ad arginare l’acqua reale in arrivo in caso di nuove alluvioni. Al costo di altro mezzo miliardo, come segnalato. Sperando che stavolta non si riveli un nuovo buco nell’acqua.
Nordest economia – 09/09/2020
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Opere pubbliche: le grandi incompiute del Veneto, dalla Valdastico alla A27
Scandalo Mose a parte, ecco i progetti abortiti nel corso dei decenni, dall’idrovia Padova-Venezia al sistema SFMR sino alla Padana Inferiore
di Francesco Jori
C’è un Veneto dei grandi numeri anche nel negativo: quello delle grandi incompiute, per esempio. La principale, oltre all’idrovia Padova-Venezia, è l’autostrada A31 della Valdastico, che in origine doveva collegare Trento con Vicenza e Rovigo, subito ribattezzata Pi-Ru-bi dai nomi dei tre leader Dc dorotei che l’avevano ideata: Piccoli, Rumor, Bisaglia.
Pensata a fine anni Sessanta del secolo scorso, ha visto aprire i cantieri solo nel 1972; quattro anni dopo è stata aperta nel solo tratto Vicenza-Piovene Rocchette (35 km, 4 caselli).
E’ rimasta la più corta autostrada d’Italia fino all’inizio degli anni Duemila; il percorso verso sud è stato completato solo nell’agosto 2015, con il tratto tra Noventa Vicentina e Agugliaro. Rimane in discussione la prosecuzione a nord, per la ferma opposizione della Provincia autonoma di Trento, che ora sembra superata; intanto la società di gestione ha messo mano alla progettazione del lotto fino ai confini regionali veneti con il Trentino.
Altra grande incompiuta autostradale è la A27, nata come Venezia-Monaco. Il primo tratto, da Mestre a Conegliano, è stato aperto nel 1972; attualmente termina a Pian di Vedoia. L’idea originaria era di proseguire a nord, attraverso le Dolomiti, passando il confine e andando a collegarsi con la rete autostradale austriaca e tedesca, fino a Monaco di Baviera; incontrando però la dura opposizione dei governi regionali di Alto Adige e Tirolo.
Il costo viene stimato tra i 7 e gli 8 miliardi, mezzo secolo dopo la discussione rimane aperta. Mezzo secolo è anche il periodo in cui si è messo mano alla Pedemontana veneta, ora in fase di attuazione, per il momento limitatamente ai 7 chilometri aperti nel giugno dello scorso anno.
Da una dozzina d’anni si discute, per ora a vuoto, del completamento della strada regionale 10, la Padana inferiore, nella fascia delle Basse venete, fino a Montagnana e Legnago.
Lasciando stare il colossale scandalo del Mose, un capitolo a sé meriterebbe la vicenda del SFMR, Sistema Ferroviario Metropolitano Veneto: un progetto varato nel 1988 per decongestionare l’intasata rete stradale dell’area centrale, inserito l’anno dopo nel piano regionale trasporti, con tanto di acquisto di treni e realizzazione o ristrutturazione di stazioni, e definitivamente sepolto dalla Regione nel 2018 senza che mai sia partita una sola corsa.
Nordest Economia – 09/09/2020
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Trenitalia: linee guida uniformi su riempimento treni per tutte le Regioni
Sarà dell’80%, sul totale dei posti a sedere e in piedi, il riempimento massimo dei treni regionali in tutta Italia. È quanto stabilito nelle nuove “Linee Guida” per il contenimento della diffusione del Covid-19 in materia di trasporto pubblico emanate come allegato al Decreto del 7 settembre 2020 e approvate dalle Regioni nel corso della Conferenza Unificata dello scorso 31 agosto.
Le misure adottate in previsione della riapertura delle scuole, parlano testualmente di “un coefficiente di riempimento dei mezzi non superiore all’ 80% dei posti consentiti dalla carta di circolazione dei mezzi stessi, prevedendo una maggiore riduzione dei posti in piedi rispetto a quelli seduti”.
In sostanza – spiega Trenitalia – l’80% si raggiungerà occupando tutti i posti a sedere e limitando il numero di quelli in piedi rispetto alla capacità massima di ciascun convoglio. Da parte sua l’azienda si impegna a monitorare, in relazione alle singole disposizioni regionali, che i limiti stabiliti siano rispettati. E altrettanto farà per le altre misure di profilassi che restano in vigore, tra cui l’obbligo di indossare la mascherina e di igienizzare frequentemente le mani.
Trasporti-Italia.com – 09/09/2020
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«Spv, niente pedaggio nel tratto bassanese»
Nuovo ponte sul Piave: via alla progettazione definitiva
Assaeroporti: nel 2020 prevista una perdita di 140 milioni di passeggeri
Quest’anno, a causa della pandemia da Covid-19, l’Italia perderà circa 140 milioni di passeggeri. La stima arriva dal direttore generale di Assaeroporti, Valentina Lener, che nel corso dell’incontro di PwC Italia sulla mobilità ha sottolineato che le previsioni sono di chiudere il 2020 con meno di 60 milioni di passeggeri, a fronte dei 200 milioni stimati ante Covid. “L’Italia – ha aggiunto – deve muoversi per non restare isolata: la Germania ha già stanziato 1,36 miliardi di euro per gli aeroporti.
Il sistema aeroportuale nazionale è essenziale per lo sviluppo del nostro Paese, non solo per il turismo ma anche per la mobilità di cittadini e imprese, e non possiamo permetterci di trascurarlo”. Per il direttore generale di Assaeroporti, quindi, il Governo non deve dimenticarsi di tutta la filiera del trasporto aereo. “L’aver investito nel vettore nazionale non è negativo ma ora siamo vicini ad un momento di rottura, perchè non vediamo luce alla fine del tunnel. Abbiamo bisogno di risorse per gli aeroporti perché i piccoli sono a rischio chiusura, ma anche i grandi dovranno concorrere con gli hub europei che, se saranno sovvenzionati dai propri governi, partiranno avvantaggiati rispetto ai nostri”.
Trasporti-Italia.com – 08/09/2020
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Oltre 50 milioni di euro di risorse alle aziende venete del trasporto pubblico locale
La Giunta regionale ha approvato oggi, su proposta dell’assessore ai trasporti e alle infrastrutture, due riparti di finanziamento alle aziende del trasporto pubblico locale del Veneto: uno di oltre 42 milioni di euro, stanziati nel Decreto Rilancio dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con quello all’economia e finanze, per compensare i mancati ricavi da traffico registrati nel periodo di emergenza sanitaria, e uno di circa 8,5 milioni di euro di risorse reperite nel bilancio regionale, destinate al potenziamento dell’offerta dei servizi.
“Il settore ha un estremo bisogno di liquidità – sottolinea l’assessore – e non appena il trasferimento statale è stato reso concretamente disponibile, a seguito dell’odierno via libera della Corte dei Conti, abbiamo provveduto con la massima urgenza, tra le prime Regioni in Italia, a ripartire le quote spettanti alle aziende che, quasi totalmente private delle entrate dalla vendita di biglietti, stanno cercando in tutti i modi di salvaguardare i propri bilanci. Per far capire le straordinarie difficoltà gestionali, basti ricordare che circa il 50 per cento dei ricavi delle aziende del Veneto è dato dalle entrate derivanti dal traffico passeggeri”.
I fondi saranno assegnati agli Enti Locali competenti per i servizi di trasporto pubblico automobilistici, tramviari e di navigazione lagunare e alla società regionale Infrastrutture Venete S.r.l. per i servizi ferroviari, che a loro volta li destineranno alle aziende affidatarie dei servizi stessi.
“Ma a questo finanziamento – prosegue l’assessore – abbiamo aggiunto più di 8 milioni e 440 mila euro per far fronte ai costi dovuti al potenziamento delle linee di trasporto automobilistico, tramviario e di navigazione lagunare, nelle fasce orarie più frequentate dai pendolari: si tratta di servizi integrativi che si rendono indispensabili anche in vista della riapertura delle attività scolastiche e del conseguente incremento della domanda di trasporto”.
Regione del Veneto – Comunicato n. 1271 del 08/09/2020
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Comune Merano, 81 biciclette elettriche a pendolari
Sindaco, alternativa ideale all’auto per il tragitto casa-lavoro
E-Bike2Work è il nome di un’iniziativa con cui la città di Merano mette a disposizione dei pendolari per alcuni mesi 81 biciclette elettriche. Ci sono quasi 16.000 posti di lavoro a Merano, di cui circa la metà sono occupati da meranesi.
“Le biciclette elettriche sono quindi un’alternativa ideale all’auto per il tragitto casa-lavoro”, spiega il sindaco Paul Rösch, “e risolvono anche molti problemi che il traffico provoca nella nostra città”. “Tuttavia, sappiamo anche che le biciclette elettriche sono costose e che molte famiglie non possono permettersele”, dice il sindaco. “Partiamo dal presupposto che avremo più di 81 domande”, spiega l’Assessora alla mobilità Madeleine Rohrer, “quindi ci sarà una graduatoria”. Più il luogo di residenza è lontano dal luogo di lavoro e maggiore è il dislivello, più punti avranno i richiedenti. “Ci saranno anche punti aggiuntivi per il trasporto dei bambini, per il rientro a casa per il pranzo e per l’appartenenza a una famiglia composta da più persone”, dice Rohrer. Gli 81 primi classificati possono prendere in consegna le biciclette elettriche cittadine in autunno e testarle fino alla fine di marzo 2022. Ciò comporterà costi di manutenzione per un totale di 218 euro. Le biciclette saranno riassegnate a partire da aprile 2022.
Ansa/Trentino A.A. – 08/09/2020
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