Porto Marghera, mega deposito di gas naturale liquido: investimento da 100 milioni

17 Gennaio 2018

Presentato il progetto di Decal e San Marco Gas, sostenuto dall’Autorità portuale: serbatoi per 32 mila mc di stoccaggio per alimentare le navi con combustibile green

È stato presentato ufficialmente il progetto per la realizzazione di un deposito di stoccaggio costiero di Gas Naturale Liquefatto (Gnl) nell’area industriale di Porto Marghera, con un investimento di oltre 100 milioni di euro, proposto da «Venice LNG».

Si tratta di una newco nata dall’unione dei due gruppi industriali italiani Decal Spa e San Marco Gas (sister company di San Marco Petroli), attivi a Porto Marghera da oltre 50 anni nel settore dello stoccaggio e della distribuzione di prodotti petroliferi e petrolchimici, e che hanno deciso di aggiornare il proprio business per poterlo mantenere in Italia, puntando sul più importante combustibile alternativo al petrolio e ai suoi derivati.

Il deposito di Gnl previsto a Porto Marghera ne favorirà l’uso come combustibile per veicoli pesanti e marini, sfruttando una posizione strategica per le rotte marittime e terrestri; la sua realizzazione aiuterà il Paese ad adempiere alle disposizioni europee, che per ridurre le emissioni di sostanze inquinanti impongono la creazione entro il 2025 di un sistema di rifornimento Gnl per le navi e per i veicoli pesanti lungo la rete centrale di trasporto transeuropea Ten-T.

Il porto di Venezia è uno degli scali italiani identificati dall’iniziativa Gainn_It promossa dal Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture per promuovere la diffusione del Gnl nel settore dei trasporti. Il deposito sarà localizzato in un’area di proprietà di Decal Spa, a fianco dell’attuale sito di stoccaggio di oli, lungo il Canale Industriale Sud, su terreni bonificati, precedentemente utilizzati per la movimentazione del cemento.

È prevista l’istallazione di un serbatoio a pressione atmosferica con capacità massima di stoccaggio di 32.000 mc. – che si promette realizzato con la migliore tecnologia disponibile – che sarà alimentato da navi gasiere di piccola e media taglia (massimo 30.000 mc); la distribuzione sarà invece garantita attraverso autocisterne e metaniere di piccola taglia. La capacità di stoccaggio del deposito Venice LNG consentirebbe di rispondere ai consumi di 15.000 camion alimentati a Gnl, evitando l’immissione in atmosfera di circa 330 tonnellate di PM10 all’anno.

L’iter autorizzativo deve iniziare e prevede una Valutazione d’impatto ambientale del ministero dell’Ambiente e un ok definitivo del ministero per lo Sviluppo economico.

“Dietro questo progetto”, ha detto il presidente dell’Autorità Portuale Pino Musolino, ” c’è un disegno più ampio e un impegno consistente per fare di Venezia un’infrastruttura portuale che offre soluzioni per logistica e trasporto sostenibile.  Autorità di Sistema Portuale non ha solo sostenuto il progetto per dotarsi di un’infrastruttura innovativa/sostenibile per combustibile pulito, ma sta lavorando anche sul fronte della domanda lato terra e lato acqua”.

«L’Europa e l’Italia premono per l’adozione di questo tipo di carburante – è stato spiegato in conferenza stampa -. Lo zolfo viene ridotto del 95% e il pm10 del 90% in confronto a un ottimo motore diesel. Ci sarà un ritorno ecologico importante. Inoltre i mezzi alimentati a Gnl sono molto più silenziosi».

Venice LNG all’inizio si attende di movimentare 150 mila metri cubi di combustibile alternativo l’anno, ma a regime la quota potrebbe toccare i 900 mila metri cubi, per un traffico portuale di una nave a settimana.

Si tratta di trasporti «green» sostitutivi delle petroliere, così come i camion a Gnl garantiscono una sostenibilità ambientale esponenzialmente migliore rispetto agli autotreni tradizionali.

«In materia di sicurezza – è stato spiegato dai tecnici – i nostri studi hanno escluso ogni possibile effetto domino in caso di problemi negli stabilimenti vicini. L’impianto adotterà i migliori standard tecnologici del mondo. Dal punto di vista ambientale la sintesi è che in un’area dismessa andremo a creare una struttura a zero emissioni».

L’amministratore delegato della nuova società, Triboldi, ha assicurato la massima disponibilità di confronto all’insegna delle trasparenza con le comunità locali e tutti gli interlocutori.

Secondo le previsioni, a regime si potranno convertire 15 mila camion a Gnl, riducendo di circa 330 tonnellate le emissioni di pm10, «numero che in fatto di traffico navale può essere tranquillamente moltiplicato per 10», è stato sottolineato.

Il progetto è stato presentato dal presidente di Venice LNG, Gian Luigi Triboldi, e ha ottenuto l’appoggio del presidente di Confindustria Venezia-Rovigo, Vincenzo Marinese, del presidente dell’Autorità di sistema portuale del mare Adriatico, Pino Musolino, e del Comune di Venezia, presente con l’assessore Simone Venturini.

«Questo è il primo esempio di nuova industria a Porto Marghera – è stato spiegato – Merito anche del gioco di squadra tra pubblico e privato. Questo stabilimento all’avanguardia avrà la possibilità di attrarre ulteriori investimenti e imprese dell’indotto». La struttura darà lavoro a una ventina di ingegneri specializzati, più l’indotto.

La Nuova di Venezia – 17/01/2018

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InRail investe a Nordest e acquista l’Officina Manutenzione Rotabili di Udine

L’investimento è di oltre 2 milioni di Euro e prevede la ristrutturazione dell’officina, la più grande tra quelle riconducibili a operatori ferroviari privati in Italia

InRail, Impresa Ferroviaria privata del settore cargo attiva in tutto il nord, centro e parte del sud Italia con una media di circa 150 treni a settimana e servizi di trasporto per tutti i tipi di merci, ha acquisito l’Officina Manutenzione Rotabili di Udine, attualmente dismessa, da Ferservizi, società con socio unico soggetta alla attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane Spa.

Oggetto di un investimento di oltre 2 milioni di Euro comprensivo dei costi di ristrutturazione necessari per la riattivazione dell’impianto e caratterizzata da una superficie di circa 17.000 m² di cui oltre 5.000 coperti con la possibilità di effettuare interventi manutentivi su un numero massimo di 16 locomotive in contemporanea, l’officina è la più grande tra quelle riconducibili a operatori ferroviari privati in Italia.

Attraverso questa acquisizione, InRail – parte di una rete di aziende affiliate attive nella logistica ferroviaria che oggi riunisce 16 società distinte e conta 317 dipendenti per un volume d’affari complessivo di oltre 50 milioni di Euro – amplia così il proprio network di strutture per la manutenzione del materiale rotabile che comprende le officine MaReSer presenti nel Porto di Genova e di Savona/Vado e le officine ODA di Arquata Scrivia (Alessandria).

L’investimento si aggiunge a quelli già effettuati da InRail per il biennio 2017-18 per l’acquisto di 3 nuove locomotive elettriche di ultima generazione Siemens Vectron, per un valore di 10,4 milioni di Euro; un risultato, questo, reso possibile dalle eccellenti performance registrate dall’Impresa Ferroviaria che chiuderà l’Esercizio 2017 con un volume d’affari di circa 30 milioni di Euro, in crescita del 20% circa rispetto al dato registrato al 31.12.2016.

Il Piccolo – 17/01/2018

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Autostrade del mare, AssArmatori: allargare ulteriormente gli effetti positivi del Marebonus

AssArmatori ha accolto positivamente l’apertura del ministro Graziano Delrio, in occasione del convegno di Civitavecchia sul tema “Le autostrade del mare per connettere l’Italia”, a istituire un incentivo destinato al mondo armatoriale, che permetta il rinnovo tecnologico delle flotte volto a garantire una sempre maggiore sostenibilità ambientale in linea con le normative europee e internazionali, oltre a investimenti mirati per rinnovare le piattaforme logistiche nel bacino del Mediterraneo e permettere un più ampio rafforzamento e sviluppo delle rotte, con ricadute positive sui territori e sull’occupazione.

“Nell’accogliere positivamente il varo del provvedimento Marebonus – ha affermato Matteo Catani, AD di GNV e consigliere del Direttivo AssArmatori – che ci consentirà di rafforzare i servizi a favore dei territori che serviamo, condividiamo che sia giunto il momento per una riflessione allargata sulle funzioni e gli incentivi alle autostrade del mare puntando in particolare su due elementi innovativi: da un lato, l’estensione del Marebonus anche alle linee di collegamento da e per il Mediterraneo; dall’altro, la previsione di quadri normativi emeccanismi incentivanti per favorire l’evoluzione tecnologica delle navi impegnate nelle autostrade del mare anche in funzione di sostenibilità ambientale dell’intero sistema logistico che su questi servizi marittimi fa perno”.

Al convegno di Civitavecchia era presentate anche il neo Presidente di AssArmatori, Stefano Messina, che ha ribadito come il cabotaggio e le autostrade del mare debbano rappresentare un preciso valore per l’intero sistema Paese e fornire risposte logistiche articolate alla produzione e alla distribuzione, anche attraverso una collaborazione operativa con il mondo dell’autotrasporto.

Trasporti-Italia.com – 17/01/2018

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Il piano dell’Euregio: più pedaggi, meno Tir

16 Gennaio 2018

Urge spostare il traffico merci su rotaia: il 50 percento entro il 2027 Il contingentamento dei mezzi pesanti mette d’accordo le regioni alpine

di Paolo Campostrini

Se continua così, scoppierà l’autostrada, non solo i polmoni di chi ci vive accanto. Per cui, dopo un po’ più di duemila anni di onorata carriera in cui è stato l’asse privilegiato di collegamento europeo, cordone ombelicale culturale e commerciale tra il nord e il sud, il Brennero si predispone a diventare un passo complicato. “Dovrà diventare un transito poco conveniente, più costoso di altri e, qualche volta, anche da evitare” hanno detto in sintesi i tre presidenti Euregio riuniti ieri al Techpark. “Misure finalmente condivise” ha chiosato il Trentino Ugo Rossi; “abbiamo conciliato le esigenze della salute con quelle dell’economia” ha cucito Arno Kompatscher; “guardiamo al modello svizzero” ha tagliato corto il tirolese Guenther Platter. Le misure, sempre in sintesi, sono queste. E, per la prima volta, con possibili ricadute concrete. 1) Aumento dei pedaggi. “Le tariffe di transito – si legge nella dichiarazione congiunta – dovranno essere in linea con quelle previste per altri valichi alpini”. In sostanza: con i livelli massimi previsti altrove. Politicamente, una misura vagamente impopolare; tecnicamente, un mezzo per costringere i mezzi pesanti a deviare sul trasporto su rotaia. 2) Il numero di tir che deviano attraverso il Brennero invece di scegliere altri valichi di attraversamento deve essere ridimensionato rispetto al 2017 con l’obiettivo di ridurlo di un terzo nel 2020. Con questa progressione: oggi il 71% del traffico commerciale viaggia su gomma e il 29% su rotaia; nel 2027 (data di avvio dell’eurotunnel) andrà portata al 50 e 50 per arrivare all’inversione nel 2030. 3) gestione del traffico. Che significa, in particolari circostanze, anche “il contingentamento dei flussi” e altre misure drastiche come il blocco. Ma tutto questo, per evitare i drammi e le code di questa estate-autunno, dovrà essere concordato tra gli Stati e non fatto piovere d’improvviso. Corollari, saranno sistemi di monitoraggio del traffico omogenei sui due versanti entro il 2020, punti di controllo dei mezzi pesanti per gestire correttamente i movimenti, l’ottimizzazione dell’interporto di Trento e la creazione di strutture similari più efficienti a Regensburg e a Verona.

La ragione? L’A22 sta scoppiando. Secondo gli ultimi dati, dopo aver raggiunto nel 2016 la cifra (allora) record di 11 milioni di autovetture e soprattutto di 2,1 milioni di veicoli pesanti, il traffico lungo l’asse del Brennero si prepara a superare tra il 2017 e quest’anno, la soglia storica di 2,2 milioni di passaggi. Ossia la portata massima dell’infrastruttura.

Questo patto euroregionale significa poi, strategicamente, la nascita di una forte alleanza tra le tre regioni alpine da far valere in chiave di rapporti con le rispettive capitali e in prospettiva europea. “Il 5 febbraio saremo a Monaco a parlare di traffico con tutte le istituzioni interessate dell’arco alpino – ha spiegato Kompatscher – ma, per la prima volta, ci andremo con una posizione comune”. Ma c’è anche una scadenza tutta interna. Bolzano e Trento stanno chiudendo la trattativa per la concessione A22 e la società che nascerà avrà un forte interesse pubblico e una attenzione agli interessi territoriali: aumento dei pedaggi, contingentamenti, strutture accessorie, eurotunnel saranno gli elementi che la nuova gestione dovrà riversare sull’asse di transito.

«Delrio si è già detto ben disposto a discutere questi temi», hanno rassicurato Rossi e Kompatscher. Mentre Platter ha chiarito che la sua pressione sarà tutta verso Bonn e Monaco di Baviera, le due capitali più restie a prendere in considerazione una decisa virata protezionistica e sostenibile nei confronti dell’asse del Brennero che, naturalmente, Germania e Baviera ritengono strategico per le loro politiche economiche e commerciali e dunque guardano con sospetto ad ogni misura di tipo dirigistico che lo riguardi.

Il focus, è l’aumento della qualità della vita nei territori attraversati dal cordone autostradale. “Ma altrettanto importante è il mantenimento del valore strategico del nostro attraversamento per il benessere economico e commerciale dei nostri sistemi produttivi” hanno detto Trento e Bolzano. Dunque l’obiettivo non è quello di colpire il “sistema” ma di deviare i flussi lungo la ferrovia. Tuttavia, ed è il disegno d’insieme, lo sforzo dovrà anche riguardare la diminuzione “tout court” del trasporto pesante sia su gomma che su rotaia , inducendo imprese e trasportatori a scegliere assi più convenienti, visto che il Brennero lo diverrà sempre meno. Bastone e carota, dunque.

Ma il bastone sarà quello più usato, probabilmente.

Alto Adige/Bolzano – 16/01/2018

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Lavoro in porto, patto di collaborazione Genova e Trieste

Firma fra Culmv, Rina academy, Cif e Agenzia del lavoro portuale

Un accordo di collaborazione per “esportare” nel porto di Trieste la formazione dei lavoratori portuali consolidata a Genova. L’Ente di formazione della Culmv (Compagnia unica lavoratori portuali), la Fondazione Cif e Rina Academy, che lavorano insieme nello scalo ligure, hanno firmato nella sede della Regione un’intesa con l’Agenzia del Lavoro portuale di Trieste che gestisce il pool di manodopera per il lavoro flessibile dello scalo giuliano. Obiettivo: scambio di conoscenze, l’elaborazione di linee guida per piani formativi, lo studio di fattibilità di una struttura organizzativa e operativa per la formazione portuale nel porto di Trieste e l’analisi delle prospettive di evoluzione del lavoro portuale alle prese con automazione e digitalizzazione. “Per noi è la conferma di quanto stiamo facendo da anni – sottolinea il console della Culmv, Antonio Benvenuti – collaborando con Cif e Rina. Avere con noi anche l’Agenzia di Trieste è importante perché i due scali hanno cicli operativi simili e sono in pieno sviluppo sulle rotte che collegano in primo luogo il Far East.

Si possono costruire percorsi comuni sui fabbisogni futuri.

L’Autorità portuale con i nuovi decreti ha una nuova autonomia sulla formazione, noi vogliamo essere della partita”. Alla firma erano presenti oltre a Benvenuti, il presidente dell’Agenzia per il lavoro portuale dello scalo di Trieste (e segretario generale dell’Autorità di sistema portuale) Mario Sommariva, il presidente della Fondazione Cif Alessandro Repetto, l’ad di Rina Academy Giorgio Saletti, il segretario generale dell’Autorità portuale Genova-Savona, Marco Sanguineri, e l’assessore regionale alla Formazione, Ilaria Cavo. “Il fatto che sia arrivata una richiesta dal porto di Trieste per formare il personale del pool di manodopera dello scalo è l’attestazione della qualità della formazione professionale ligure in campo portuale” sottolinea Ilaria Cavo. “Come Genova anche il porto di Trieste è all’interno di dinamiche di traffico importanti per container e ro-ro – commenta Sommariva -. Il gigantismo navale rilancia un modello di traffico estremamente flessibile gestito con grande professionalità e l’articolo 17 (i pool di lavoro temporaneo, ndr) svolge questa funzione che è molto moderna”.

Ansa/Mare – 16/01/2018

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A22 e tir, imprenditori e artigiani Trento contro Euregio

‘Rischio per autotrasporto e altri comparti’

Preoccupazione per le decisioni prese a Bolzano dai vertici dell’Euregio in tema di trasporto merci viene espressa dal presidente di Confindustria Trento, Giulio Bonazzi, e dal presidente dell’Associazione artigiani e piccole imprese di Trento, Marco Segatta.
“Comprendiamo le finalità delle decisioni e condividiamo l’obiettivo di lungo periodo di trasferire parte del traffico merci da gomma a rotaia – si legge in una nota congiunta – ma la transizione deve essere graduale e inserita in una strategia che prevede il potenziamento delle infrastrutture esistenti, mentre non può essere decisa per decreto senza offrire agli operatori alternative praticabili”. “Il rischio, che non può essere sottovalutato da chi ha responsabilità politiche – aggiungono Bonazzie e Segatta – è di mettere in difficoltà non solo il settore dell’autotrasporto ma anche molti altri comparti economici che da esso dipendono per l’approvvigionamento di materie prime e semilavorati e per la distribuzione dei propri prodotti”.

Ansa/Trentino A.A. – 16/01/2018

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«Stop all’anarchia tipicamente italiana. I centri logistici si fanno vicino alle ferrovie»

15 Gennaio 2018

di Carlo Tomaso Parmegiani

La situazione delle infrastrutture nel Nordest? È sostanzialmente positiva e, per molti aspetti, tra le migliori d’Italia. Quello che servirebbe, tuttavia, è maggiore coordinamento, anche se ci sono già forme di «collaborazione spontanea». Così la pensa Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale di Trieste, già direttore sviluppo dell’interporto di Verona e docente di Logistica in diverse università italiane, nonché uno dei massimi conoscitori del sistema infrastrutturale nordestino e nazionale.

Come nasce il coordinamento spontaneo?

«Spesso dal fatto che le diverse realtà si focalizzano su attività diverse. Ad esempio, se parliamo di merci, il porto di Venezia è focalizzato sull’export del Nordest, mentre Trieste è un porto a servizio dell’Europa centrale e orientale. Quindi, nel settore container, che è quello di riferimento, non c’è conflitto fra i due porti e, anzi, si è creata una certa complementarietà. C’è stata una separazione naturale dei compiti, anche se, visto che l’export via mare del Nordest è prevalentemente diretto verso il Nord America, Venezia subisce più la concorrenza dei porti del Tirreno che non la nostra».

Anche per altre infrastrutture ci sono situazioni simili?

«Direi di sì. Se guardiamo ai due grandi interporti veneti, possiamo notare come Verona si sia dedicato all’export verso il centro-Nord Europa attraverso il Brennero e quindi lavori molto con i semirimorchi, mentre Padova si sia specializzato nell’export verso il Nord-America e, quindi, lavori molto con i container. In questo secondo caso si può, piuttosto, sottolineare che, proprio per quanto dicevo prima, Padova collabora più con i porti del Tirreno, come Genova e Livorno, di quanto non lavori con Venezia o con noi. Per quanto riguarda, poi, gli interporti del Friuli Venezia Giulia, direi che la collaborazione con il porto di Trieste è ottima e in continuo miglioramento».

Guardando anche a ferrovie e strade, come vede la situazione del Nordest?

«Se valutiamo ciò che c’è oggi a Nordest e guardiamo a quello che ci sarà in futuro, possiamo essere contenti. Abbiamo autostrade che sono già o diventeranno a tre corsie, è previsto il potenziamento della ferrovia Venezia-Trieste, c’è il costruendo tunnel di base del Brennero, abbiamo una buona capacità delle ferrovie che vanno verso Tarvisio e verso l’Est europeo. Se guardiamo, poi, all’infrastruttura ferroviaria di altre regioni d’Italia, la nostra è l’unica zona che ha tutti i tunnel con la sagoma più grande possibile (quella chiamata P/80 e che raggiunge i 4,10 metri di altezza, ndr), che consente il passaggio dei treni con i semirimorchi. Nel Nord-Ovest e nel Centro-Sud ci sono, invece, molti tunnel ferroviari più bassi e, infatti, tutti i treni con semirimorchi diretti nel Nord Europa passano per i nostri porti, i nostri interporti e la rete ferroviaria triveneta».

Rispetto agli aeroporti, come siamo messi?

«Si potrebbe potenziare il traffico merci via aerea, il servizio cargo, ma ciò dipende più dalle compagnie aeree che se ne occupano, che non dagli aeroporti. Molto cargo aereo, ad esempio, vola su Francoforte perché Lufthansa Cargo è attiva ed efficiente…».

In questa situazione c’è qualcosa che manca per guardare con totale serenità al futuro delle infrastrutture a Nordest?

«Da un lato, servirebbe un maggior coordinamento fra logistica e finanza, che in altri Paesi è naturale e consente l’ampliamento degli investimenti in infrastrutture e in logistica. Dall’altro, le grandi piattaforme logistiche e le zone produttive andrebbero localizzate in aree collegate alla ferrovia. Invece, in Italia abbiamo sparpagliato i magazzini delle varie aziende e degli operatori della logistica su tutto il territorio, spesso perché guidati dall’unico criterio del costo iniziale dei terreni sui quali edificare. E poi ci si lamenta che quei centri logistici non sono raggiunti dalla ferrovia, il che aumenta i costi di trasporto delle merci, il traffico di Tir sulle strade statali e comunali, l’inquinamento».

Dove nasce questo problema?

«Da un lato è sempre mancata una pianificazione politica intelligente e si è lasciato che anche il più isolato comune d’Italia potesse creare la sua piccola zona industriale o area logistica, senza alcun vincolo. Dall’altro, i nostri imprenditori sono bravissimi dal punto di vista produttivo, ma di solito subalterni rispetto ai temi della logistica e dei trasporti. Spesso anche gli operatori ferroviari hanno trascurato questi temi. In Francia e in Gran Bretagna, ad esempio, gli operatori della logistica sono obbligati a localizzare i loro magazzini nelle cosiddette “Cargo City” vicine agli snodi ferroviari, e sono anche contenti di farlo perché ciò crea economie di scala e velocizza la gestione delle merci. L’anarchia italiana, in un sistema già di per sé complicato perché fatto di una miriade di Pmi e da un’orografia complessa, ha risultati assai negativi che finiscono per diminuire la nostra competitività».

É una situazione rimediabile?
«Io avevo proposto di defiscalizzare la terziarizzazione della logistica, in modo da avviare una concentrazione della gestione logistica in un numero contenuto di operatori specializzati, che dovrebbero essere obbligati a localizzare i loro centri operativi in aree accessibili alla ferrovia».

Come è stata accolta questa sua proposta?
«Temo non l’abbiano nemmeno capita…»

Corriere del Veneto/Imprese – 15/01/2018

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Abertis, nuovi sostenitori per l’offerta di Acs e Atlantia guarda all’India

Atlantia in trattative esclusive per acquisire nuovi asset in India. Secondo alcune fonti citate dall’Economic Times, il gruppo italiano sarebbe in trattative esclusive con IRB Infrastructure

Atlantia in trattative esclusive per acquisire nuovi asset in India. Secondo alcune fonti citate dall’Economic Times, il gruppo italiano sarebbe in trattative esclusive con IRB Infrastructure, società con sede a Mumbai, per acquisire il suo portafoglio operativo di asset autostradali: un deal da 2 miliardi di dollari. Non è escluso che Atlantia  possa entrare nel capitale di IRB Infrastructure, quotata alla borsa indiana, spiegano le fonti stampa.

Atlantia è peraltro già presente in India e vanta dal 2010 una partnership con Tata Realty and Infrastructure, controllata di uno dei più importanti conglomerati locali.

Novità anche sul fronte spagnolo di Abertis dove pende l’opa della società controllata dalla holding Edizione e la contro-opa di Acs, società del padron del Real Madrid Florentino Perez.

Secondo il quotidiano Expansion, Acs avrebbe ricevuto diverse manifestazioni di interesse da parte di investitori per partecipare alla sua offerta pubblica di acquisto per Abertis. Apparentemente, la società non le ha scartate anche se ha già ottenuto il finanziamento per tale offerta da un consorzio di 17 banche.

Al contempo, il ceo di Acs, Fernandez Verdes, ha detto che “sarebbe felice se Criteria Caixa, il maggior azionista di Abertis, accettasse l’offerta di Acs date le buone relazioni tra le due società”.

Abertis è stata creata nel 2003 dalla fusione delle strade a pedaggio di Acs e di Criteria Caixa che hanno mantenuto il controllo di Abertis fino al 2012 quando Acs ha deciso di disinvestire.

Expansion ha segnalato che l’offerta di Acs/Hochtief dovrebbe ricevere le autorizzazioni ancora mancanti, ovvero della DgComp europea e della Consob spagnola (la Cnmv) il 6 febbraio: il periodo di accettazione dovrebbe iniziare successivamente.

La Tribuna di Treviso/Nordest Economia – 15/01/2018

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Quella passione tripartisan per i monopoli nei trasporti

12 Gennaio 2018

Il monopolio è la forma di impresa dominante nei trasporti italiani. Al di là delle giustificazioni formali, a renderlo una scelta politica razionale ci sono disparati motivi. Per confutarli è necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici.

di Marco Ponti

Tutte le forme del monopolio

Nei trasporti italiani il monopolio, in varie configurazioni, è la forma di impresa dominante.

Le autostrade sono sì “monopoli naturali”, ma invece di ridurne il potere, lo si è massimizzato per via politica: concessioni molto lunghe (di recente prolungate senza gara), elevata concentrazione (un solo operatore detiene più di metà della rete).

L’impresa ferroviaria (Fsi) è dominante, integrata verticalmente e orizzontalmente, con oltre il 90 per cento del fatturato e la quasi totalità della rete. Ora, la fusione con Anas ne aumenta ancora la capacità di pressione politica (“clout”).

Il trasporto pubblico locale (Tpl) è monopolio legale, ma mai affidato con gare credibili (quelle fatte sono state quasi tutte vinte dagli incumbents).

Il settore aereo è stato liberalizzato dall’Europa, con rilevanti benefici per gli utenti, ma lo stato italiano continua a fare sforzi economici per sostenere l’ex-monopolista Alitalia, in una sorta di nostalgia perversa.

La regolazione del settore (per definizione pro-concorrenza) fin dall’inizio è stata dotata di poteri limitati rispetto a quelli rimasti nella sfera politica.

Le motivazioni formalmente addotte per questo atteggiamento sono molte, in genere intercambiabili. Qui possiamo elencarle solo sinteticamente:

– il concetto di “campione nazionale”, da difendere in quanto strategico, qualsiasi sia il settore interessato;

– l’esistenza di economie di scala o di scopo, che giustificherebbero la dominanza;

– i costi tecnici e la complessità gestionale di operazioni di “spacchettamento” (unbundling)

– la socialità: affidare servizi pubblici in gara (non solo liberalizzarli) impedirebbe di conseguire obiettivi sociali, spesso non molto definiti e spesso riferiti più ai dipendenti che agli utenti.

Tutti questi motivi sono confutabili. D’altra parte, vi sono anche dichiarazioni esplicite dell’attuale ministro dei Trasporti Delrio, di ostilità verso il concetto di concorrenza, mentre un ministro precedente, Altero Matteoli, era contrario a una autorità indipendente di regolazione.

Perché è una “scelta razionale”

Quali sono però i motivi reali, non formali, che rendono razionale questo atteggiamento politico favorevole ad assetti non concorrenziali? Data la situazione italiana, lo potremmo far coincidere con il “favore per lo status quo”.

Il primo, dominante, è riconducibile allo “scambio politico” diretto: i beneficiari della concorrenza sono diffusi (utenti o contribuenti), non ne godranno nell’immediato e, soprattutto, sarà per loro difficile confrontare scenari competitivi con scenari monopolistici, dati i tempi e i contesti diversi in cui li potranno verificare.

I soggetti danneggiati (addetti e fornitori attuali di imprese monopolistiche), che al contrario percepirebbero immediatamente l’effetto di politiche di liberalizzazione, tendono invece a essere coesi e “vocali” e votano in favore di chi li protegge. Anche l’assunzione dei dipendenti e la scelta dei fornitori risultano politicamente condizionabili in contesti monopolistici, assai più che non in quelli concorrenziali, per i quali l’efficienza è condizione irrinunciabile.

Poi per imprese monopolistiche private (per esempio, autostrade), che generano alti profitti, vi è la “spartizione delle rendite” (a danno di utenti inconsapevoli e “diffusi”). Questo avviene per via fiscale, dati gli elevati tassi di prelievo sui profitti.

Tornando ai fornitori (per esempio, si pensi ai 5 miliardi l’anno circa di acquisti delle ferrovie), è ovvio che è preferibile per un privato negoziare con un monopolista invece che con un soggetto pressato dalla concorrenza e per il quale la qualità e i prezzi delle forniture sono fattori essenziali di sopravvivenza.

Quanto al management di imprese pubbliche, vi sono prassi diffuse di nomine politiche dirette che garantiscono poi un sistema di “scambi di favori” con chi li ha nominati, spesso non di per sé illegali, anche se non è possibile ignorare il fenomeno corruttivo presente in Italia.

Queste ultime considerazioni sono, per loro natura, facilmente spiegabili anche solo con l’obiettivo del tutto legittimo del consenso politico a breve termine (noto come “hidden agenda” in termini di “public choice”).

Siamo quindi di fronte a un comportamento in gran parte razionale e infatti “bipartisan”. Anzi, ora addirittura “tripartisan” (l’M5S è fortemente critico verso il regime attuale delle concessioni autostradali, ma il fatto che gli altri monopoli non siano un bersaglio legittima il dubbio che l’attacco sia motivato dalla circostanza che solo quel settore è dominato da un’impresa privata).

Per concludere, raccomandazioni generiche sembrano davvero inutili. Pare invece necessario sviluppare strumenti di analisi molto più realistici e disincantati. Quelli forniti dall’approccio public choice (che, si badi, non comportano affatto l’adesione politica a quella linea di pensiero) potrebbero rivelarsi di grande utilità. Solo se la diagnosi è corretta, infatti, ci possono essere speranze che la cura possa essere efficace.

lavoce.info – 12/01/2018

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Trenitalia e Regione Veneto sottoscrivono nuovo contratto di servizio. Sarà valido fino al 2032

11 Gennaio 2018

Nuovo contratto di servizio tra Trenitalia e Regione Veneto. Resterà valido fino a dicembre del 2032. A firmarlo oggi a Venezia sono stati Elisa De Berti, assessore regionale ai lavori pubblici, infrastrutture e trasporti e Orazio Iacono, Amministratore delegato di Trenitalia. Presenti anche il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia e l’ad del Gruppo FS Italiane, Renato Mazzoncini.

Il nuovo contratto di servizio definisce le caratteristiche principali dell’offerta ferroviaria regionale e punta a incrementare la qualità dei servizi destinati ai pendolari. Del valore di 4.546 milioni di euro, comprensivo di corrispettivi e ricavi da mercato, definisce anche un investimento in autofinanziamento di più di un miliardo di euro, di cui 619 milioni per l’acquisto di 78 nuovi treni Rock e Pop, 250 per manutenzione ciclica, 59 per rinnovo di treni già in circolazione, 60 per impianti di manutenzione, 18,4 per tecnologie e informatica.

Il contratto di servizio di 10 anni + 5 tra Regione Veneto e Trenitalia è stato sottoscritto in coerenza con la normativa europea 1370, che presuppone per tale durata la presenza di consistenti investimenti. La progressiva entrata in esercizio di nuovi treni continuerà ad abbassare l’età media della flotta regionale.

Il Veneto, ha detto il ministro Delrio, avrà la flotta più giovane d’Europa e, parlando del contratto sottoscritto – ha spiegato: “È molto importante e mira a rendere più semplice la vita dei pendolari con treni più dignitosi e con maggiore puntualità e comfort. È frutto di una collaborazione molto stretta tra lo Stato e la Regione Veneto che consentirà con oltre un miliardo di investimenti non solo di produrre treni nuovi, quindi di cambiare tutta la flotta del Veneto e farla diventare la più giovane d’Europa in pochi anni, ma soprattutto di produrre nuovo lavoro e di consentire alle fabbriche italiane che producono i treni di avere nuovo lavoro”.

Sul fronte dei programmi pluriennali sul lavoro e la capacità di programmazione derivanti dai contratti di servizio tra Ferrovie e Regioni, il ministro ha sottolineato che “ordinare treni per 4 anni vuol dire creare più lavoro, perché questi treni si fanno in stabilimenti italiani”.

Trasporti-Italia.com – 11/01/2018

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