«Stop all’anarchia tipicamente italiana. I centri logistici si fanno vicino alle ferrovie»

di Carlo Tomaso Parmegiani

La situazione delle infrastrutture nel Nordest? È sostanzialmente positiva e, per molti aspetti, tra le migliori d’Italia. Quello che servirebbe, tuttavia, è maggiore coordinamento, anche se ci sono già forme di «collaborazione spontanea». Così la pensa Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale di Trieste, già direttore sviluppo dell’interporto di Verona e docente di Logistica in diverse università italiane, nonché uno dei massimi conoscitori del sistema infrastrutturale nordestino e nazionale.

Come nasce il coordinamento spontaneo?

«Spesso dal fatto che le diverse realtà si focalizzano su attività diverse. Ad esempio, se parliamo di merci, il porto di Venezia è focalizzato sull’export del Nordest, mentre Trieste è un porto a servizio dell’Europa centrale e orientale. Quindi, nel settore container, che è quello di riferimento, non c’è conflitto fra i due porti e, anzi, si è creata una certa complementarietà. C’è stata una separazione naturale dei compiti, anche se, visto che l’export via mare del Nordest è prevalentemente diretto verso il Nord America, Venezia subisce più la concorrenza dei porti del Tirreno che non la nostra».

Anche per altre infrastrutture ci sono situazioni simili?

«Direi di sì. Se guardiamo ai due grandi interporti veneti, possiamo notare come Verona si sia dedicato all’export verso il centro-Nord Europa attraverso il Brennero e quindi lavori molto con i semirimorchi, mentre Padova si sia specializzato nell’export verso il Nord-America e, quindi, lavori molto con i container. In questo secondo caso si può, piuttosto, sottolineare che, proprio per quanto dicevo prima, Padova collabora più con i porti del Tirreno, come Genova e Livorno, di quanto non lavori con Venezia o con noi. Per quanto riguarda, poi, gli interporti del Friuli Venezia Giulia, direi che la collaborazione con il porto di Trieste è ottima e in continuo miglioramento».

Guardando anche a ferrovie e strade, come vede la situazione del Nordest?

«Se valutiamo ciò che c’è oggi a Nordest e guardiamo a quello che ci sarà in futuro, possiamo essere contenti. Abbiamo autostrade che sono già o diventeranno a tre corsie, è previsto il potenziamento della ferrovia Venezia-Trieste, c’è il costruendo tunnel di base del Brennero, abbiamo una buona capacità delle ferrovie che vanno verso Tarvisio e verso l’Est europeo. Se guardiamo, poi, all’infrastruttura ferroviaria di altre regioni d’Italia, la nostra è l’unica zona che ha tutti i tunnel con la sagoma più grande possibile (quella chiamata P/80 e che raggiunge i 4,10 metri di altezza, ndr), che consente il passaggio dei treni con i semirimorchi. Nel Nord-Ovest e nel Centro-Sud ci sono, invece, molti tunnel ferroviari più bassi e, infatti, tutti i treni con semirimorchi diretti nel Nord Europa passano per i nostri porti, i nostri interporti e la rete ferroviaria triveneta».

Rispetto agli aeroporti, come siamo messi?

«Si potrebbe potenziare il traffico merci via aerea, il servizio cargo, ma ciò dipende più dalle compagnie aeree che se ne occupano, che non dagli aeroporti. Molto cargo aereo, ad esempio, vola su Francoforte perché Lufthansa Cargo è attiva ed efficiente…».

In questa situazione c’è qualcosa che manca per guardare con totale serenità al futuro delle infrastrutture a Nordest?

«Da un lato, servirebbe un maggior coordinamento fra logistica e finanza, che in altri Paesi è naturale e consente l’ampliamento degli investimenti in infrastrutture e in logistica. Dall’altro, le grandi piattaforme logistiche e le zone produttive andrebbero localizzate in aree collegate alla ferrovia. Invece, in Italia abbiamo sparpagliato i magazzini delle varie aziende e degli operatori della logistica su tutto il territorio, spesso perché guidati dall’unico criterio del costo iniziale dei terreni sui quali edificare. E poi ci si lamenta che quei centri logistici non sono raggiunti dalla ferrovia, il che aumenta i costi di trasporto delle merci, il traffico di Tir sulle strade statali e comunali, l’inquinamento».

Dove nasce questo problema?

«Da un lato è sempre mancata una pianificazione politica intelligente e si è lasciato che anche il più isolato comune d’Italia potesse creare la sua piccola zona industriale o area logistica, senza alcun vincolo. Dall’altro, i nostri imprenditori sono bravissimi dal punto di vista produttivo, ma di solito subalterni rispetto ai temi della logistica e dei trasporti. Spesso anche gli operatori ferroviari hanno trascurato questi temi. In Francia e in Gran Bretagna, ad esempio, gli operatori della logistica sono obbligati a localizzare i loro magazzini nelle cosiddette “Cargo City” vicine agli snodi ferroviari, e sono anche contenti di farlo perché ciò crea economie di scala e velocizza la gestione delle merci. L’anarchia italiana, in un sistema già di per sé complicato perché fatto di una miriade di Pmi e da un’orografia complessa, ha risultati assai negativi che finiscono per diminuire la nostra competitività».

É una situazione rimediabile?
«Io avevo proposto di defiscalizzare la terziarizzazione della logistica, in modo da avviare una concentrazione della gestione logistica in un numero contenuto di operatori specializzati, che dovrebbero essere obbligati a localizzare i loro centri operativi in aree accessibili alla ferrovia».

Come è stata accolta questa sua proposta?
«Temo non l’abbiano nemmeno capita…»

Corriere del Veneto/Imprese – 15/01/2018

© Riproduzione riservata