La Via della Seta cinese divide il governo italiano

di Gerardo Pelosi

Convergenti veti americani ed europei sulla Belt and Road Initiative(Bri), la nuova via della Seta di Pechino destinata a collegare 65 Paesi dall’Asia all’Europa e all’Africa con 900 miliardi di dollari di investimenti rischiano di condizionare pesantemente la prossima visita di Stato in Italia del presidente cinese Xi Jinping il 22 e 23 marzo prossimi. Si sta infatti profilando un nuovo caso Tav con il Quirinale, la Farnesina e la Lega su posizioni molto prudenti proprio per venire incontro alle preoccupazioni di Washington e Bruxelles mentre il Mise, guidato dal pentastellato Luigi Di Maio sembra determinato ad accelerare i primi accordi con Pechino.

Vengono così corrette e ridimensionate le notizie pubblicate ieri dal Financial Times secondo cui l’Italia potrebbe essere il primo Paese G7 a sostenere ufficialmente la “Belt and Road”. Il quotidiano citava dichiarazioni del sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, vero “fan” della Cina, secondo il quale durante la visita di Stato di Xi si firmerebbe il Memorandum of Understanding di supporto al piano infrastrutturale. Dichiarazioni che hanno dato la stura alle dure reazioni americane. Secondo Garrett Marquis, portavoce del National Security Council della Casa Bianca, l’iniziativa «potrebbe danneggiare la reputazione globale dell’Italia sul lungo periodo». A stretto giro il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Lu Kang ha replicato parlando di «giudizi davvero assurdi» perché «come grande Paese e grande economia, l’Italia sa dove si trova il suo interesse e può fare politiche indipendenti». Dopo le dure reazioni di Washington Geraci ha fatto una parziale marcia indietro. «Non mi risulta alcuna irritazione degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia – ha commentato – non ho avuto alcuna comunicazione dell’ambasciata”. Geraci ha tenuto a ricordare che il Memorandum «è ancora in fase negoziale» e che quindi «potrebbe essere firmato o meno» e comunque si tratta di «una semplice cornice».

Gli Stati Uniti paventano soprattutto che l’Italia potrebbe essere il secondo Paese Ue dopo la Grecia ad aprire le porte ai progetti cinesi (il Pireo parla ormai cinese) con tutto quello che ne consegue anche a livello politico e di tutela dei diritti umani. Quanto a Bruxelles il Consiglio europeo di ottobre ha di fatto bocciato la Nuova Via della Seta contrapponendo (con l’accordo dell’Italia) un progetto infrastrutturale europeo per collegare Europa e Asia. Un portavoce Ue ha spiegato ieri che «né la Ue né nessuno Stato membro può ottenere efficacemente i suoi obiettivi con la Cina senza piena unità». Ecco perché la firma che il ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio dovrebbe apporre al Mou della Bri insieme al suo collega cinese il 23 marzo è ancora avvolta da molti dubbi.

Anche il luogo della firma non è ancora stabilito con certezza. In un primo momento si pensava a Palermo dove Xi si recherà anche per valutare le condizioni di un Hub portuale nel Mediterraneo ma la scelta sembra ora caduta su Villa Madama a Roma. Quanto ai contenuti del “legal framework” del Mou ci sarà quasi certamente bisogno di un incontro a Palazzo Chigi tra i ministri degli Esteri, Enzo Moavero e quello del Mise, Luigi Di Maio. Si profila un “mini Mou”. Non si entrerà probabilmente nel merito dei collegamenti infrastrutturali, marittimi e terrestri per tenere in debito conto le obiezioni americane. Per cui nessun richiamo ad hub portuali in Adriatico a Trieste dove Washington preferisce gli investitori ungheresi a quelli cinesi e nessuna ipotesi di investimenti nelle tlc (anche per le preoccupazioni sul 5G di Huawei).

Il Sole 24 Ore – 07/03/2019

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