«La Tav pesa per il 3% del Pil regionale»

Cinque miliardi di euro aspettano al binario. I calcoli di Confindustria («Sarà un fattore discriminante per chi vuole sviluppare la propria attività o spostarla») contro le stroncature dei 5 Stelle.

di Martina Zambon

Il tormentone «quanto costa la Tav» dura ormai da mesi. E ogni giorno riserva un colpo di scena: la Ue che presenta il conto, salatissimo, in caso di marcia indietro sull’opera. Per la sola Torino-Lione, Bruxelles è pronta a chiedere fra restituzioni e mancata erogazione 1,7 miliardi. E in attesa dell’ufficialità dell’analisi costi-benefici che il Mit ha spedito, per ora, solo ai cugini francesi, le risposte ormai standard sono: «Costa troppo», «è la madre di tutte le mangiatoie» (copyright del M5s), «costa dieci volte più che in Spagna e Germania», «quante opere pubbliche alternative si potrebbero cantierare con l’equivalente di un chilometro di binari ad alta velocità?» e così via. Da parte sua, invece, il governatore Luca Zaia si sgola: «La Tav in Veneto va fatta. Non si discute». Cosa succede, però, se si capovolge la questione, chiedendoci non quanto costa bensì quanto «vale» la Tav per il Nordest? Confindustria Veneto arriva a quantificare la ricaduta economica dell’infrastruttura, oggi ferma alle porte dei confini regionali in quel di Lonato del Garda, provincia di Brescia: «Vale come minimo il 3% del Pil regionale» scandisce Franco Miller, che oltre a essere il delegato per le infrastrutture degli industriali veneti è anche il presidente di Transpadana, il comitato promotore della Tav. Calcolatrice alla mano, se il Pil veneto si aggira intorno ai 160 miliardi di euro, il «valore» della Tav in regione sfiorerebbe quota 5 miliardi di euro, per la precisione 4,8.

La stima

Come si arriva a questa stima, però, è una faccenda a dir poco articolata, che include voci come «l’export perduto» nel divario in termini di qualità della logistica che sarebbe possibile ridurre se l’Italia colmasse il gap infrastrutturale con la Germania. La voce – che per l’intera tratta italiana del Corridoio Mediterraneo ammonta da sola alla bellezza di 70 miliardi – è inclusa in un recente studio del professor Roberto Zucchetti della Bocconi, uno degli esperti trasportisti più accreditati in Europa. Fra i tanti dati snocciolati nello studio, un altro numero balza agli occhi: 133. Si tratta dei milioni di tonnellate che ogni anno transitano da una delle «porte» dell’Italia, quella del Brennero. E il Brennero significa automaticamente Verona. «Quando sarà completata la ferrovia Alta velocità /AC del corridoio Nord-Sud, al Brennero, – spiega Miller – migliaia di convogli arriveranno da Nord a Verona. Come potrà essere gestito il traffico merci e passeggeri che sarà destinato a raggiungere il Nordest e il Nordovest e il Sud Italia, se il Corridoio Mediterraneo non sarà realizzato? È estremamente probabile che si possa essere esclusi dai traffici internazionali, e che tutto si muova al di sopra delle Alpi, con gravissime perdite sul piano della competitività delle nostre aziende, sul piano occupazionale ed economico».

I numeri

A dar la caccia ai numeri che quantificano la necessità di completare il Corridoio Mediterraneo ci si imbatte in uno studio del Cipe di otto anni fa, in cui si distilla un numero da far rizzare i capelli a qualsiasi imprenditore: nel considerare le differenze delle linee ferroviarie fra Italia e Nord Europa, le aziende italiane sono penalizzate con maggiori costi per la logistica fino all’8%.Un altro studio del 2008 firmato da Bocconi per Transpadana e intitolato in modo inequivocabile «I costi del non fare» afferma che rimanere senza Tav fino al 2030 costerà 33 miliardi di traffici «saltati» lungo la direttrice Est-Ovest. «E poi di cosa stiamo parlando? – continua Miller – I vantaggi sono enormi: 4 binari per gestire trasporti merci, pendolari, treni di media velocità, alta velocità e alta capacità, sono un’ottimizzazione dei trasporti che durerà cent’anni. Come la linea storica tutt’ora in uso che data 1872 e risale a Cavour». Dei giorni scorsi è l’affermazione del presidente nazionale di Confindustria, Vincenzo Boccia, sulla stagnazione dell’economica, a cui l’Italia potrebbe reagire anche solo facendo partire i cantieri già finanziati, come quello del primo lotto della Tav Brescia-Verona, fermo, si diceva, a Lonato del Garda. «Sulla Tav c’è spesso molta confusione. – premette il trasportista di “Idea Tolomeo” Sergio Maset – Quando si parla di Alta Velocità bisognerebbe mettere un po’ d’ordine. Sviluppare la rete Av in Veneto vuol dire, di fatto, realizzare altri due binari, il famoso quadruplicamento. Così si organizzerà la movimentazione di treni a velocità ridotta – quelli regionali legati al pendolarismo – senza che finiscano matematicamente in coda al primo Frecciarossa. È semplice buon senso. Lungo la linea storica su cui si viaggia ora il risultato paralizzante in entrambi i sensi è che non abbiamo servizi ferroviari sufficientemente veloci da un lato e abbiamo servizi regionali troppo lenti. Il quadruplicamento per questo territorio significa collegare “orizzontalmente” le tre o quattro principali regioni e città del Nord, da Torino a Venezia».

Il progetto di Alta velocità

Fra le accuse ricorrenti al progetto di Av così com’è stato concepito c’è che, ad esempio, sul tratto veneto, le fermate saranno troppe per consentire anche solo di raggiungere la velocità di crociera di 300 chilometri l’ora. Secondo Maset, anche questo è un falso problema. «Troppe fermate? – spiega il trasportista – L’orario andrà organizzato come un menu. Ora ci sono un certo numero di treni al giorno che collegano Milano e Roma, di cui una parte “direttissimi” senza fermate, un’altra quota parte che ferma a Bologna e Firenze e così via. La stessa cosa può valere da Milano a Mestre: ci sarà un treno che fa due fermate, Verona e Mestre, e qualcuno che ferma anche a Vicenza o a Brescia. Questi sono argomenti di competenza della programmazione commerciale di Trenitalia. Quindi quello delle fermate che frenano l’alta velocità è un falso problema». Il ragionamento di chi è un convinto sostenitore del quadruplicamento è il seguente: oggi da Venezia a Milano ci si impiega due ore e mezza, l’obiettivo è pareggiare un Milano-Bologna che compie il tragitto in un’ora e dieci. «In questo caso – aggiunge Maset – anche i 10 minuti in più per un’altra fermata non inficerebbero il risultato finale: cambiare radicalmente le prospettive di chi viaggia per lavoro e, non dimentichiamolo, del comparto produttivo del turismo. Il treno, poi, sarà sempre più un mezzo di trasporto competitivo perché entra direttamente nel cuore delle città. L’automobile è già battuta in partenza (pensiamo al bollino d’accesso per il centro di Milano) e così anche l’aereo, che “perde” la sfida sul fronte del raggiungimento del centro».

Il paradigma di Vicenza

A chiedere con forza la realizzazione della tratta veneta è il tessuto imprenditoriale. E Vicenza, in questo senso, è un paradigma. Nel bene e nel male. Dopo anni di lotte fratricide in città sul posizionamento della fermata sulla nuova linea, è ora la roccaforte di chi suona la sirena d’allarme: «Da Vicenza a Padova – analizza Gaetano Marangoni, delegato degli industriali berici per le infrastrutture – la Tav è poco più di una linea segnata a matita su una mappa. Confidando che prima o poi il tema si sbloccherà, ci si deve portare avanti con la progettazione dell’ultimo tassello mancante. Non è un pallino aprioristico del mondo imprenditoriale. Prendiamo la Fiera di Vicenza: il presidente Lorenzo Cagnoni ha detto chiaramente di essere disponibile a investire a patto che ci sia l’Alta velocità. E non dimentichiamo il filone turismo. La presenza o meno di una linea Av in Veneto condizionerà la progettazione di intere aree del territorio. Sarà un fattore discriminante per chi vuole impostare la propria attività o spostarla. Alla luce di queste considerazioni davvero non temo smentite se dico che la Tav veneta, come minimo, può valere tre punti percentuali del Pil regionale».

Corriere del Veneto – 09/03/2019

© Riproduzione riservata