Galleria di Base, ad Astaldi-Ghella il lotto Mules da un miliardo

11 Giugno 2016

Astaldi-Ghella possono avviare le attività finalizzate all’apertura del maxilotto Mules 2-3 del tunnel ferroviario del Brennero. Bbt, dopo la verifica della congruità dell’offerta, ha ufficializzato in Gazzetta l’aggiudicazione del bando da 1.373 miliardi per la realizzazione di tutte le opere in sotterraneo nel tratto italiano della galleria ferroviaria per l’Alta velocità, nel tratto da Mezzaselva (Fortezza) al Confine di Stato. Le opere prevedono il completamento del cunicolo esplorativo e delle due gallerie di linea principali, per per complessivi 23 chilometri di tunnel da scavare con metodo tradizionale tradizionale e 46 chilometri con scavo meccanizzato con l’ausilio di Tbm (Tunnel Boring Machine). La durata dei lavori è stimata pari a 7 anni.
Il contratto è stato firmato a un prezzo di 992,9 milioni, pari a un ribasso del 28,82%. La cordata guidata da Astaldi (42,5% delle quote, mandataria) è composta anche da Ghella (42,5%), Oberosler Cav. Pietro Pietro (5%), Cogeis (5%) e Pac (5%). L’opera, di cui si prevede l’attivazione nel 2025, costituirà il nuovo nuovo collegamentoferroviario tra l’Italia e l’Austria nell’ambito del Corridoio 5 Helsinki-La Valletta e rappresenterà il tunnel ferroviario più lungo del mondo mondo con i suoi suoi 64 chilometri di lunghezza tra i portali di ingresso di Fortezza e Innsbruck e i circa 200 chilometri complessivi di gallerie. Tra le altre altre aggiudicazioni della settimana, Toto costruzioni ha vinto l’appalto integrato della Provincia di Mantova per la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sull’ex Ss 413 Romana riguardanti la ristrutturazione del ponte sul fiume Po, nei Comuni di San Benedetto Po e Bagnolo San Vito, con contestuale trasferimento a titolo di corrispettivo parziale di bene immobile di proprietà della Provincia. Il bando da 25,3 milioni è stato assegnato per 24,7 milioni.
L’impresa bergamasca Artifoni apre il cantiere per i lavori di realizzazione della vasca di laminazione del fiume Seveso nel Comune di Senago (Mi). Il bando da 24,2 milioni dell’Aipo è stato aggiudicato per 23,3 milioni.

Il Sole 24 Ore/Edilizia e Territorio – 11.06.2016

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Il Porto di Venezia alla conquista del Nord Europa via ferrovia

10 Giugno 2016

di Marco Morino

Il trasporto intermodale conquista nuovi spazi. L’Autorità Portuale di Venezia ha siglato con il Porto di Rostock (Germania) e con il gruppo Grimaldi un accordo per la creazione di un collegamento intermodale (nave+ferrovia+nave) tra il mar Adriatico e il mar Baltico.
Le merci che dai Balcani arriveranno al porto di Venezia via nave, verranno infatti caricate su treno dirette al porto di Rostock per poi ripartire da qui alla volta dei paesi scandinavi. Una soluzione che rende operativo uno dei primi collegamenti lungo il Corridoio Scandinavo-Mediterraneo. Un nuovo ponte tra Venezia e Rostock che si aggiunge a quello già attivato a novembre scorso tra Venezia e Francoforte (via Brennero) a partire sempre dal servizio ro/ro operato da Grimaldi Lines, raddoppiato da metà giugno 2016, consentendo di portare sul mercato tedesco le merci provenienti via mare dalla Grecia ed altri paesi balcanici in soli tre giorni e viceversa.
Il Porto di Venezia continua così la sua “cura del ferro” che fa segnare numeri da record, +31% nei primi 4 mesi del 2016. Questo è stato reso possibile grazie al fatto che l’Autorità Portuale ha realizzato l’ampliamento del terminal ferroviario Marghera Scalo (binari per treni da 700 metri) nonché il raddoppio del binario in via dell’Elettronica a sostegno del Terminal Autostrade del Mare. Ulteriori sviluppi del trasporto ferroviario – recita una nota congiunta Porto di Rotock, Autorità portuale di Venezia e gruppo Grimaldi – saranno conseguenti agli altri investimenti in corso di realizzazione e relativi all’elettrificazione del secondo binario in entrata alla stazione di Venezia-Mestre; alla realizzazione di un nuovo collegamento diretto fra Fusina e la linea Venezia-Milano, per bypassare il nodo di Mestre e ad un parco ferroviario a servizio del nuovo terminal container e del Distripark che sorgeranno nell’area ex Montefibre. A partire dagli oltre 200 chilometri di rete ferroviaria interna di cui è dotato il porto di Venezia oltre a un proprio scalo merci (Marghera Scalo), questi sviluppi ferroviari a supporto dei traffici portuali consentiranno allo scalo lagunare di espandere la propria catchment area, raggiungendo i mercati quindi più lontani, quelli non serviti già via camion nel raggio di 150 chilometri.

Il Sole 24 Ore – 10.06.2016

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Piano Juncker: 1,4 mld per opere e innovazione

L’Italia è fra i maggiori beneficiari dei fondi del piano Juncker per gli investimenti in infrastrutture e innovazione; sono otto i progetti già finanziati per 1,4 miliardi che dovrebbero portare a 4,9 miliardi di investimenti. È quanto ha reso noto il 31 maggio l’Efsi (European fund for strategic investments) che ha annunciato di avere approvato per tutta l’Europa 64 progetti infrastrutturali e di innovazione, con finanziamenti per 9,3 miliardi di euro, e 185 accordi di finanziamento per piccole e medie imprese, a beneficio di 141.800 start-up, piccole e medie imprese e aziende a media capitalizzazione), per altri 3,5 miliardi.
Ma il piano Juncker è stato pensato innanzitutto per il rilancio della crescita nel settore delle infrastrutture visto che nasce dall’ esigenza di rilanciare gli investimenti europei, la cui dimensione complessiva è crollata durante la crisi finanziaria ed economica, a partire dal 2008. Sono i dati della stessa Commissione a confermare il crollo degli investimenti: la riduzione a livello Ue è stata, nel quinquennio 2008-2013, del 14,2%, mentre in Italia si è attestata oltre il 25% con picchi in alcuni settori produttivi, come il comparto delle costruzioni, che hanno registrato un calo pari a oltre il 43%.
L’ obiettivo potenziale è quello di attivare investimenti per 240 miliardi in progetti infrastrutturali e innovativi e altri 75 miliardi di euro per le pmi; un totale di 351 miliardi di investimenti attivabili da realizzare entro la metà del 2018. I progetti da finanziare devono riguardare investimenti a loro volta necessariamente coerenti con le politiche europee finalizzate allo sviluppo delle infrastrutture di trasporto (preferibilmente aree industriali), con quelle energetiche (interconnessioni), digitali; con quelle per l’ istruzione e la formazione, la salute, la ricerca, lo sviluppo e l’ innovazione, oltre a quelle per le energie rinnovabili e efficienza energetica e i progetti infrastrutturali nel settore ambientale, nel campo delle risorse naturali, dello sviluppo urbano e sociale.
Il totale dei finanziamenti erogati dall’Efsi è di 12,8 miliardi di euro, che si prevede inneschino investimenti per un totale di 100 miliardi, grazie all’ effetto leva, con la mobilitazione degli investimenti privati.
Il maggiore beneficiario del piano Juncker è stata l’Italia (tallonata dalla Francia; seguono, più distanziate, Regno Unito e Germania). Per quanto riguarda i progetti in infrastrutture e innovazione, il piano in Italia ne finanzia otto (tra i quali la modernizzazione delle acciaierie Arvedi, l’ acquisto di materiale rotabile di Trenitalia per le reti regionali di Lazio, Liguria, Veneto, Piemonte e Toscana, entrambi già firmati), che sommano 1,4 miliardi di finanziamenti erogati dalla Bei che nell’ auspicio della Commissione dovrebbero attivare 4,9 miliardi in investimenti, con la creazione di 3.200 posti di lavoro. Per quel che concerne le pmi ci sono 28 accordi approvati con banche per 353 milioni, che si immagina possano attivare 7,8 miliardi di investimenti.
La Commissione europea ritiene che l’Efsi sia «sulla buona strada» per mobilitare almeno, è un obiettivo minimo e non massimo, 315 miliardi di euro in «investimenti nell’ economia reale» entro metà 2018.

Milano Finanza – 10.06.2016

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Fibra ottica, 400 milioni di spesa. I cantieri in cinquecento comuni

5 Giugno 2016

Dopo l’accordo tra il ministero dello Sviluppo economico e la Regione, pubblicati i bandi di gara. Le offerte entro il 18 luglio, poi gli appalti. Avvio dei lavori entro l’anno, esclusi i centri più piccoli

di Filippo Tosatto

Cinquant’anni fa, il centrosinistra decise di nazionalizzare l’Enel per garantire l’ elettricità alle zone più svantaggiate del Paese, giudicate non redditizie dagli imprenditori privati e perciò escluse dall’erogazione energetica. Oggi la centralità della lampadina cede il passo a reti internet, personal computer, smartphone, web tv, così il Governo compie un’operazione analoga sul versante della banda ultralarga – l’autostrada informatica che consente operazioni complesse, connessioni veloci e servizi accessori altrimenti negati – e bandisce gli appalti della “fibra ottica di Stato” destinati alle “aree a fallimento di mercato”, escluse cioè dai piani d’investimento degli operatori mobili.
Sei le regioni coinvolte, con il Veneto – destinatario di un budget complessivo che sfiora i 400 milioni di euro – che a questa operazione affida le chance di annullare (o almeno, ridurre sensibilmente) uno svantaggio infrastrutturale penalizzante sul piano della crescita e dei consumi digitali. Secondo l’ultima rilevazione di Infratel Italia, la percentuale di popolazione veneta raggiunta dall’ultralarga ammonta al 15,9% e corrisponde al 33,4% delle famiglie: uno standard inferiore alla media nazionale (22,3% e 55% delle famiglie) e un ritardo nello sviluppo della rete confermato dal “digital divide”, il divario nell’accesso, che si attesta al 4,3% superando il tasso nazionale del 3,1%. Nel dettaglio, le tratte pubbliche nostrane sono 307 e toccano 285 comuni su 579; fra quelli più virtuosi si segnalano Albignasego, Dolo, Peschiera del Garda e Creazzo, dove l’ ultralarga raggiunge quote di utenti superiori al 90%; la classifica dei capoluoghi vede invece Padova in prima posizione (87,5%), seguita da Verona (85,8%) e da Treviso (80,7%); si distanziano Vicenza (72,5%) e Venezia (58,2%); chiudono Rovigo e Belluno del tutto prive delle infrastrutture destinate alla fibra ottica, analogamente a quanto avviene in decine di paesini- soprattutto in collina e in montagna – e persino a ridosso ridosso dei poli industriali del Vicentino e del Veronese.
Infratel, si diceva. La società “in house” del ministero dello Sviluppo è il soggetto attuatore dei piani definiti dal Governo d’intesa con le Regioni. Sbloccati i fondi del Cipe – esauriti anche gli estenuanti adempimenti tecnici, burocratici e amministrativi – i bandi di sono stati finalmente pubblicati. In ballo, c’ è un pacchetto di investimenti sostanzioso: ai 313 milioni di euro stanziati da Roma si sommano gli 83 (di provenienza Ue) previsti dall’Agenda digitale della Regione Veneto.
L’accordo di programma, sottoscritto il 16 aprile dal premier Matteo Renzi (in qualità di ministro ad interim dello Sviluppo economico) dal governatore Luca Zaia, prevede un arco triennale: «L’ intervento riguarderà circa 1,6 milioni di veneti e almeno una località bianca (sprovvista di fibra ndr) per ciascuno dei 500 comuni sopra i 2500 abitanti coinvolti».
Con l’esclusione – ahiloro – dei centri più piccoli, in particolare nelle dorsali montuose e pedemontane.
La procedura si articolerà in due fasi: la selezione preliminare degli operatori interessati, chiamati a fornire informazioni circa i requisiti minimi di partecipazione e le infrastrutture che intendono utilizzare, presentando la domanda entro il 18 luglio; e l’invito ai concorrenti ammessi alla gara a presentare l’ offerta tecnica ed economica. Il bando prevede la progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione di una rete passiva e attiva di accesso in modalità “wholesale” (l’ interconnessione all’ ingrosso) tale da consentire agli operatori delle telecomunicazioni di fornire agli utenti servizi a 100 Mega e comunque non al di sotto dei 30 Mega; la nuova rete sarà data in concessione per vent’ anni e rimarrà di proprietà pubblica. Che altro? I fondi erogati non consentiranno di colmare interamente il gap – stime ministeriali quantificano il fabbisogno totale del Veneto intorno al miliardo di euro e l’ Unione Europea indica il 2020 come data-obiettivo per la cablatura completa – ma il passo avanti si annuncia ambizioso e cruciale, non soltanto sul versante tecnologico ma anche per le opportunità professionali e di lavoro offerte. L’ impegno è quello di inaugurare i primi cantieri entro la fine dell’ anno. Si vedrà.

La Nuova di Venezia – 05.06.2016

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Off-shore, il Ministero «boccia» il progetto

1 Giugno 2016

In otto pagine, diciannove quesiti e varie richieste di chiarimenti. Ecco tutti i dubbi sulla «realizzazione tecnica ed economico-finanziaria»

di Alberto Vitucci

Otto pagine di richieste, diciannove quesiti. La «Struttura tecnica di missione» del Ministero delle Infrastrutture di Graziano Delrio non è convinta della bontà del progetto off-shore. E ha inviato all’Autorità portuale il suo parere con una lunga richiesta di chiarimenti. Per gli scettici sulla grande opera in mare, si tratta quasi di un de profundis all’iter del progetto di piattaforma logistica voluta dal Porto di Venezia e dal suo presidente Paolo Costa. Una battaglia che prosegue, anche in vista delle elezioni politiche della settimana prossima, della nuova legge sui porti e del rinnovo dei mandati dei presidenti, previsto per ottobre. Sul piatto, il progetto Voops («Venice off-shore on-shore port system»), che ha già ottenuto il via libera da Regione, commissione Via e Cipe, ma adesso deve superare la diffidenza del Ministero e degli altri scali italiani, a cominciare da Trieste.

Cosa dice il parere della struttura tecnica? Una serie di dubbi e quesiti riguarda soprattutto l’opportunità di procedere su un progetto per cui, secondo i tecnici del Ministero, «rimangono molti aspetti non ancora chiariti». È necessario, si legge nella premessa, «giungere a una completezza informativa aggiornata e integrata, che rappresenti con chiarezza la versione attuale dell’idea progettuale e della sua proposta di realizzazione tecnica ed economico-finanziaria. Perché negli ultimi dieci anni è sopraggiunta «una fisiologica necessità di variazioni e adattamenti al progetto originario».

Scenari alternativi. Per «evitare rischi» si suggerisce prima di tutto di considerare e confrontare «scenari alternativi». «Dove la funzione del porto off-shore sia svolta da altri porti del Nord Adriatico, Trieste e Capodistria in testa, come già oggi accade». L’accesso al porto veneziano («on-shore») sarebbe comunque garantito, perché lo scenario di «non navigabilità per la chiusura del Mose», scrivono i tecnici del Ministero delle note, «è limitato a pochissimi giorni all’anno».

La convenienza. Si può tranquillamente, secondo il rapporto della Stm, rinunciare alla piattaforma off-shore e affidarsi ai trasferimenti da una nave all’altra («transhipment») facendo base su Trieste. I costi sarebbero più o meno gli stessi.

Il rischio di investimento. Nel quesito Q3 il gruppo del Ministero ribadisce il «rischio di investimento» che invece sarebbe minimo puntando sulle infrastrutture a terra dotate di buona accessibilità marittima. Ancora una volta, Trieste. Occorre anche chiarire, continua il documento, quali sono gli scenari di sviluppo del mercati con analisi di sostenibilità economico finanziarie.

Mose. Chiarimenti sono richiesti anche sulla questione della conca di Malamocco, per cui la mancata realizzazione dell’off-shore comporterebbe una revisione.

Ambiente. Un problema ambientale si porrebbe, continua lo studio, nel caso il progetto del terminal petroli venisse stralciato dal progetto generale dell’off-shore. Anche puntando solo sui container, rimarrebbe evidente il problema dell’impatto ambientale per il traffico delle barche dirette in laguna nel porto on-shore.

Ferrovie. «L’ampliamento del mercato e del traffico di Teu (5,9 milioni previsti nel 2030) è legato all’efficacia dei collegamenti ferroviari. È stata verificata la funzionalità di queste infrastrutture?»

Tempi e costi. «Vi sono ragionevoloi elementi», continua il rapporto, «per ritenere che i costi e i tempi dell’opera possano essere considerevolmente maggiori di quelli dichiarati. Si chiede dunque un computo metrico e una stima più precisa dei costi». «Nelle infrastrutture strategiche, la differenza di costo tra il progetto preliminare e il progetto definitivo, anche in forza di prescrizioni, può crescere del 50% e anche di più». Occorre dunque riconsiderare il rapporto costi-benefici.

“Mama vessel”. Sono i piccoli battelli attrezzati per trasportare le cassette dall’off-shore in mare al porto interno. I tecnici chiedono di verificare i costi di questo servizio, stimati in 100 euro a container, e la loro incidenza sui costi generali.

Privati. Il Ministero propone che i finanziatori privati siano coinvolti da subito, anche nella realizzazione della parte pubblica.

Le entrate. Le entrate per lo Stato sono stimate in 900 milioni di euro. Ma si tratta del valore delle opere di infrastrutturazione. Quale sarebbe allora il vantaggio economico per lo Stato per realizzare l’opera?

Risorse finanziarie. Chiarimenti vengono richiesti infine sul fatto di come saranno garantite le procedure per fare arrivare i capitali privati. 938 milioni di risorse pubbliche che dovrebbero attrarre 1250 milioni di euro di risorse private. Di questi 948, 135 sono già stati stanziati dal Cipe, altri 533 dovrebbero arrivare sempre dal Cipe, 280 nell’ambito del cofinanziamento europeo Ten.Ent.

Iter. Il suggerimento finale del gruppo di lavoro del Ministero è quello di «mandare avanti il solo stralcio funzionale del terminal on-shore Montesyndial», per cui si sono già i finanziamenti pronti. Nel caso di approvazione dell’intero progetto con disponibilità finanziaria ridotta, scrivono i tecnici della Stm, «non si avrebbe con ogni probabilità accoglimento positivo dalla Corte dei Conti».

La Nuova di Venezia –  01.06.2016

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